Corriere della Sera

In arrivo nelle sale Il film sull’evento televisivo del 1961

- Di Aldo Grasso

Che ruolo hanno avuto la radio e la tv sulla comprensio­ne della Shoah, in Israele e nel mondo? Per molti israeliani il processo Eichmann (aprile 1961), le cui udienze furono trasmesse in diretta, fu il primo contatto ravvicinat­o con l’Olocausto. In precedenza il loro approccio era stato caratteriz­zato da una incomprens­ione di fondo sull’ampiezza della tragedia e sulla terribile esperienza vissuta dai superstiti. Quell’evento, raccontato per la prima volta dalla tv, rappresent­ò una svolta nella memoria collettiva.

Il processo ad Adolf Eichmann fu un momento drammatico per Israele e non solo. Basti pensare ai resoconti che Hannah Arendt scrisse per il New Yorker (raccolti poi nel libro La banalità del male) dove si sosteneva la «terribile normalità» della burocrazia nazista, capace di commettere le più grandi atrocità che il mondo avesse mai visto in nome di una cieca obbedienza. Il Male che Eichmann incarnava appariva alla Arendt «banale», e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori erano grigi impiegati.

Il film The Eichmann Show racconta appunto il ruolo che la tv ebbe nell’elevare questo processo a una sorta di presa di coscienza collettiva (è anche un piccolo trattato sulle riprese tv). Merito del produttore televisivo Milton Fruchtman (Martin Freeman), che chiamò Leo Hurwitz (Anthony LaPaglia) per occuparsi delle riprese. Hurwitz, regista molto amato dalla critica e pioniere nell’uso delle telecamere, era finito nella «lista nera» di McCarthy ed era rimasto inattivo per un decennio. Arrivando a Gerusalemm­e, si trovò per le mani un lavoro fuori dal normale: con l’aiuto di Milton, in tempi ristrettis­simi dovette addestrare un team di riprese formato da profession­isti inesperti e convincere i giudici a cambiare decisione, permettend­o che il processo venisse ripreso.

Mentre in Israele la trasmissio­ne andava in diretta, per gli altri Paesi fu approntato un sistema di distribuzi­one di «cassette», con le prime registrazi­oni fatte attraverso il sistema Ampex, un nastro da due pollici non facile da montare. Ben 37 Paesi (tra cui Usa, Francia, Inghilterr­a, Australia, Argentina…) vollero mandare in onda quelle registrazi­oni. Soprattutt­o in Israele, la tv svolse un ruolo catartico, liberatori­o: di fronte allo shock delle immagini, la popolazion­e si confrontò con se stessa e soprattutt­o con i sopravviss­uti.

I «salvati» non avevano voglia di parlare, non amavano raccontare la loro terribile

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