Il costume da profugo e la gaffe di Amazon
Bisognerebbe che imparassimo a usare opportunamente le parole in relazione al contesto. Oggi, purtroppo, il termine «profugo» si sa bene quale colossale tragedia evochi. Tanto più se viene accostata all’immagine di un bambino e di una bambina. Dunque, in tempi in cui l’odissea dei migranti produce centinaia di migliaia di morti, smerciare per Carnevale costumi da profugo e proporli su Amazon Moda è una scelta priva non solo di buon gusto ma di sensibilità umana (oltre che sociolinguistica). Certo, è vero che i due bambini-testimonial della dissennata iniziativa commerciale appaiono più come degli emigranti del secolo scorso, nella tipica iconografia cinematografica «C’era una volta in America», valigia di cartone alla mano e berretto in testa: rappresentazione ben diversa dalla realtà attuale, dove il senso di morte è invisibile solo per chi non lo vuol vedere. Ma maschera+profugo+bambino appare come un’associazione triplamente incresciosa anche per la gioiosa (e cinica) macchina pubblicitaria, che continua ad abusare dell’immagine infantile (il casting di bambini dovrebbe essere un ossimoro inaccettabile). Per questo ha fatto bene Amazon, dopo la valanga di appelli «politicamente corretti» (compreso quello del responsabile Immigrazione della Caritas Italiana Oliviero Forti), a rimuovere quella scheda commerciale. Che portava un altro indicatore di pessimo gusto, e cioè la didascalia segnaletica «Weltkrieg», come se anche la prima o la seconda guerra mondiale potessero essere oggetto di scherno carnevalesco.
Purché si rida. E ridendo, si venda.