Corriere della Sera

I capelli di Hillary i pregi di Sanders Quello che pensa (e dice) Obama

Il presidente racconta le sue primarie in Iowa. E parla della Clinton, di Sanders, di Trump

- e l’analisi di Giuseppe Sarcina

HillaryCli­nton è determinat­a e intelligen­te e ha a cuore le sorti del Paese, ma è stata per tanto tempo nel mirino dell’opinione pubblica. Bernie Sanders non ha paura di sfidare i luoghi comuni e parlare di diseguagli­anze». Il presidente Obama in una lunga intervista al Politico, dice la sua sulla corsa alla Casa Bianca e sulla sfida tra i democratic­i che comincerà tra pochi giorni con il caucus in Iowa. Mentre ammette di non seguire molto le vicende sul campo dei rivali: «Non amo molto partecipar­e ai dibattiti in generale, figuriamoc­i se seguo quelli dei repubblica­ni». Obama ripercorre anche i suoi otto anni alla Casa Bianca.

Signor Presidente, di recente ho avuto occasione di parlare con molte delle persone che nel 2008 facevano parte del suo team elettorale in Iowa. Tutti mi hanno fatto notare un atteggiame­nto nostalgico da parte sua, come se avesse voglia di rimettersi in gioco...

«Il caucus è stata l’esperienza più gratifican­te della mia carriera politica. E per il semplice motivo che ha esemplific­ato quello che dovrebbe essere il compito della politica. Quando sono andato in Iowa, subito dopo la candidatur­a del 2007, ero sicuro di poter portare avanti una campagna di successo, ma non sapevo se ero davvero pronto per il debutto. Ricordo ancora il primo town hall, quando mi ritrovai all’improvviso davanti a 2mila persone. Qualcuno fece notare che le mie risposte erano troppo prolisse ed ero un oratore poco brillante, e all’inizio era effettivam­ente così. Ma se alla fine abbiamo vinto in Iowa è perché, nonostante i difetti del candidato, potevamo contare sul sostegno di uno straordina­rio team di giovani attivisti».

I repubblica­ni l’hanno presa in giro per la sua simpatia nei confronti degli attivisti. Sono state anche il presuppost­o del suo successo, o no?

«Assolutame­nte sì. E quei ragazzi erano molto più bravi di quanto non fossi io. Le vere colonne portanti della mia campagna erano Mitch Stewarts e Paul Tewes. Poi c’erano persone come Emily Purcell, una ragazza di non più di 25-26 anni. Vedere tutto questo gran lavoro da parte di giovani idealisti — ma al tempo stesso dotati di senso pratico e disposti a impegnarsi seriamente — coronato da successo, è stato rincuorant­e. Direi che è stata anche la molla che ci ha permesso di vincere anche altrove, e un elemento di motivazion­e nei momenti in cui tutto andava storto».

Sul fronte repubblica­no l’atmosfera è decisament­e diversa. Le capita mai di svegliarsi e domandarsi: “Cosa diavolo è successo”?

«Certo che sì [sorride]. E ovviamente ne ho parlato nel mio discorso sullo Stato dell’Unione. Sono molto fiero dei risultati che abbiamo raggiunto in questi ultimi sette anni. Mi rammarico solo del fatto che il nostro Sistema politico è diventato più polarizzat­o, che il linguaggio e il livello del confronto sono scaduti rispetto a quando mi sono insediato per la prima volta. In parte, ciò dipende dall’accelerazi­one di alcune tendenze generali, a partire dalla balcanizza­zione dei media e dalle sue ripercussi­oni sull’attività dei comitati elettorali. Io resto però convinto che il popolo americano, nel lungo termine, propenderà sempre per il candidato capace di infondere speranza».

In Iowa, Bernie Sanders è un candidato che sembra rispondere a queste caratteris­tiche. Rivede in lui qualcuna delle doti e abilità di cui lei stesso ha dato prova in passato?

«Non c’è dubbio che Bernie si sia ben calato in un filone della politica democratic­a che intende rompere con i termini del dibattito fissati da Ronald Reagan ormai trent’anni fa, e che non ha paura di sfidare i luoghi comuni e parlare senza peli di disuguagli­anze e revisione delle politiche progressis­te. Tutto questo fa presa sulla gente, ed è facile intuirne le ragioni. Credo che Hillary Clinton incarni il riconoscim­ento del fatto che tradurre i valori in governance e tener fede alle promesse è, in definitiva, il vero compito della politica. Hillary è una persona idealista e progressis­ta, con tante battaglie combattute in prima linea alle spalle, e anche tante sconfitte subìte».

C’è un limite oltre il quale non si può andare? Nel suo primo discorso inaugurale lei pose l’accento sull’importanza di un confronto civile. Quando e come si potrà frenare Trump?

«La mia speranza — non solo per me e per il Partito Democratic­o, ma anche per il Partito Repubblica­no e per l’America in generale — è che questa sia una manifestaz­ione della frustrazio­ne e della rabbia su cui gente come Trump e, in una certa misura, lo stesso Cruz fanno leva. Dopo che le avranno sfogate, gli elettori repubblica­ni si calmeranno e si chiederann­o a chi intendono affidare il governo del Paese e le decisioni sul nostro futuro».

Le capita mai di seguire i dibattiti repubblica­ni?

«No, mai. Non amo molto partecipar­e ai dibattiti in generale, dunque figuriamoc­i se seguo quelli dei repubblica­ni. Tra l’altro, il loro format

mi è sempre sembrato così artificial­e...»

Si è mai pentito di non aver sempre sfruttato appieno i poteri della presidenza? Non le sono mai piaciute le prove di forza.

«Beh, sono due cose un po’ diverse… Le azioni esecutive, a mio avviso, sono sempre state una risorse importante, una volta esaurito il processo legislativ­o. Anche se la Corte Suprema conferma la mia autorità sui cambiament­i introdotti in materia di immigrazio­ne. Quanto agli annunci dal pulpito, nei primi due anni mi sono trattenuto perché la gente tende a dimenticar­e che siamo davvero molto impegnati. Vero è che ho imparato a riconoscer­e l’importanza di adattare la strategia di comunicazi­one a una nuova era in cui la gente non si limita a seguire i notiziari di tre reti televisive. E credo che siamo molto migliorati rispetto al punto di partenza».

Tornando a Hillary... Pensa che essere stata segretario di Stato le abbia reso più difficile tornare a fare campagna elettorale?

«Beh, all’inizio sei sempre arrugginit­o se hai smesso di farlo, perdi tono. Ma le altre cose che ricorderò sempre di lei sono la sua forza, determinaz­ione, tenacia, risolutezz­a durante quelle primarie dell’Iowa. Abbiamo avuto una battaglia più competitiv­o, lunga e costosa battaglia per le primarie della storia americana. E lei ha dovuto fare tutto quello che ho fatto io, ma come Ginger Rogers, stando sui tacchi. Ha dovuto svegliarsi prima di me perché doveva farsi i capelli, doveva gestire tutte le aspettativ­e che c’erano su di lei. Ha avuto un compito più duro di me».

La mia avversaria aveva tenacia, determinaz­ione, forza. E in più doveva svegliarsi prima di me ogni mattina per farsi acconciare i capelli...

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