I capelli di Hillary i pregi di Sanders Quello che pensa (e dice) Obama
Il presidente racconta le sue primarie in Iowa. E parla della Clinton, di Sanders, di Trump
HillaryClinton è determinata e intelligente e ha a cuore le sorti del Paese, ma è stata per tanto tempo nel mirino dell’opinione pubblica. Bernie Sanders non ha paura di sfidare i luoghi comuni e parlare di diseguaglianze». Il presidente Obama in una lunga intervista al Politico, dice la sua sulla corsa alla Casa Bianca e sulla sfida tra i democratici che comincerà tra pochi giorni con il caucus in Iowa. Mentre ammette di non seguire molto le vicende sul campo dei rivali: «Non amo molto partecipare ai dibattiti in generale, figuriamoci se seguo quelli dei repubblicani». Obama ripercorre anche i suoi otto anni alla Casa Bianca.
Signor Presidente, di recente ho avuto occasione di parlare con molte delle persone che nel 2008 facevano parte del suo team elettorale in Iowa. Tutti mi hanno fatto notare un atteggiamento nostalgico da parte sua, come se avesse voglia di rimettersi in gioco...
«Il caucus è stata l’esperienza più gratificante della mia carriera politica. E per il semplice motivo che ha esemplificato quello che dovrebbe essere il compito della politica. Quando sono andato in Iowa, subito dopo la candidatura del 2007, ero sicuro di poter portare avanti una campagna di successo, ma non sapevo se ero davvero pronto per il debutto. Ricordo ancora il primo town hall, quando mi ritrovai all’improvviso davanti a 2mila persone. Qualcuno fece notare che le mie risposte erano troppo prolisse ed ero un oratore poco brillante, e all’inizio era effettivamente così. Ma se alla fine abbiamo vinto in Iowa è perché, nonostante i difetti del candidato, potevamo contare sul sostegno di uno straordinario team di giovani attivisti».
I repubblicani l’hanno presa in giro per la sua simpatia nei confronti degli attivisti. Sono state anche il presupposto del suo successo, o no?
«Assolutamente sì. E quei ragazzi erano molto più bravi di quanto non fossi io. Le vere colonne portanti della mia campagna erano Mitch Stewarts e Paul Tewes. Poi c’erano persone come Emily Purcell, una ragazza di non più di 25-26 anni. Vedere tutto questo gran lavoro da parte di giovani idealisti — ma al tempo stesso dotati di senso pratico e disposti a impegnarsi seriamente — coronato da successo, è stato rincuorante. Direi che è stata anche la molla che ci ha permesso di vincere anche altrove, e un elemento di motivazione nei momenti in cui tutto andava storto».
Sul fronte repubblicano l’atmosfera è decisamente diversa. Le capita mai di svegliarsi e domandarsi: “Cosa diavolo è successo”?
«Certo che sì [sorride]. E ovviamente ne ho parlato nel mio discorso sullo Stato dell’Unione. Sono molto fiero dei risultati che abbiamo raggiunto in questi ultimi sette anni. Mi rammarico solo del fatto che il nostro Sistema politico è diventato più polarizzato, che il linguaggio e il livello del confronto sono scaduti rispetto a quando mi sono insediato per la prima volta. In parte, ciò dipende dall’accelerazione di alcune tendenze generali, a partire dalla balcanizzazione dei media e dalle sue ripercussioni sull’attività dei comitati elettorali. Io resto però convinto che il popolo americano, nel lungo termine, propenderà sempre per il candidato capace di infondere speranza».
In Iowa, Bernie Sanders è un candidato che sembra rispondere a queste caratteristiche. Rivede in lui qualcuna delle doti e abilità di cui lei stesso ha dato prova in passato?
«Non c’è dubbio che Bernie si sia ben calato in un filone della politica democratica che intende rompere con i termini del dibattito fissati da Ronald Reagan ormai trent’anni fa, e che non ha paura di sfidare i luoghi comuni e parlare senza peli di disuguaglianze e revisione delle politiche progressiste. Tutto questo fa presa sulla gente, ed è facile intuirne le ragioni. Credo che Hillary Clinton incarni il riconoscimento del fatto che tradurre i valori in governance e tener fede alle promesse è, in definitiva, il vero compito della politica. Hillary è una persona idealista e progressista, con tante battaglie combattute in prima linea alle spalle, e anche tante sconfitte subìte».
C’è un limite oltre il quale non si può andare? Nel suo primo discorso inaugurale lei pose l’accento sull’importanza di un confronto civile. Quando e come si potrà frenare Trump?
«La mia speranza — non solo per me e per il Partito Democratico, ma anche per il Partito Repubblicano e per l’America in generale — è che questa sia una manifestazione della frustrazione e della rabbia su cui gente come Trump e, in una certa misura, lo stesso Cruz fanno leva. Dopo che le avranno sfogate, gli elettori repubblicani si calmeranno e si chiederanno a chi intendono affidare il governo del Paese e le decisioni sul nostro futuro».
Le capita mai di seguire i dibattiti repubblicani?
«No, mai. Non amo molto partecipare ai dibattiti in generale, dunque figuriamoci se seguo quelli dei repubblicani. Tra l’altro, il loro format
mi è sempre sembrato così artificiale...»
Si è mai pentito di non aver sempre sfruttato appieno i poteri della presidenza? Non le sono mai piaciute le prove di forza.
«Beh, sono due cose un po’ diverse… Le azioni esecutive, a mio avviso, sono sempre state una risorse importante, una volta esaurito il processo legislativo. Anche se la Corte Suprema conferma la mia autorità sui cambiamenti introdotti in materia di immigrazione. Quanto agli annunci dal pulpito, nei primi due anni mi sono trattenuto perché la gente tende a dimenticare che siamo davvero molto impegnati. Vero è che ho imparato a riconoscere l’importanza di adattare la strategia di comunicazione a una nuova era in cui la gente non si limita a seguire i notiziari di tre reti televisive. E credo che siamo molto migliorati rispetto al punto di partenza».
Tornando a Hillary... Pensa che essere stata segretario di Stato le abbia reso più difficile tornare a fare campagna elettorale?
«Beh, all’inizio sei sempre arrugginito se hai smesso di farlo, perdi tono. Ma le altre cose che ricorderò sempre di lei sono la sua forza, determinazione, tenacia, risolutezza durante quelle primarie dell’Iowa. Abbiamo avuto una battaglia più competitivo, lunga e costosa battaglia per le primarie della storia americana. E lei ha dovuto fare tutto quello che ho fatto io, ma come Ginger Rogers, stando sui tacchi. Ha dovuto svegliarsi prima di me perché doveva farsi i capelli, doveva gestire tutte le aspettative che c’erano su di lei. Ha avuto un compito più duro di me».
La mia avversaria aveva tenacia, determinazione, forza. E in più doveva svegliarsi prima di me ogni mattina per farsi acconciare i capelli...