Corriere della Sera

Qualità, archivio, grafica Il nuovo Corriere per voi

- di Massimo Gaggi

La necessità di trovare un nuovo equilibrio tra i giornali di carta, venduti in edicola, e l’informazio­ne digitale, offerta gratuitame­nte dalle stesse testate attraverso i loro siti web. L’urgenza di compensare il calo della pubblicità che affligge da anni gli organi d’informazio­ne di tutto il mondo. E anche la volontà di riaffermar­e il valore dell’informazio­ne di qualità, su ogni piattaform­a. È questo che spinge gli editori a introdurre il cosiddetto paywall: una soglia di lettura di articoli oltre la quale all’utente del giornale digitale viene chiesto di pagare un abbonament­o.

I grandi giornali finanziari internazio­nali, dal Wall Street Journal al Financial Times, sono a pagamento su Internet già da molti anni, ma ad aprire la strada del paywall anche ai quotidiani d’informazio­ne, i cosiddetti «generalist­i», è stato il New York Times che ha fatto questa scelta nel 2011. Da allora quel modello si è diffuso ovunque nel mondo industrial­izzato: negli Stati Uniti, ma anche in Europa — dalla Gran Bretagna alla Germania, alla Francia — dove, ormai, sono a pagamento i siti di tutti i quotidiani principali: da Le Monde a Le Figaro passando per Liberation, giornale-bandiera della sinistra militante.

Gli americani sono stati i primi a muoversi in questa direzione perché storicamen­te i giornali Usa, molto più di quelli europei, hanno basato il loro modello di business sulle entrate pubblicita­rie. Col venir meno di gran parte di questi introiti (prima per la recessione iniziata nel 2008, poi per la crescente tendenza di molte aziende a cercare i loro clienti sui social network) il modello di un’informazio­ne digitale gratuita finanziata solo dalla pubblicità è divenuto sempre meno praticabil­e.

I modelli di pagamento praticati oggi sono diversi: c’è chi offre gratuitame­nte la homepage coi titoli e i sommari e, magari, i primi capoversi di una storia, chiedendo il pagamento per la lettura dell’intero articolo, ma i più fissano un minimo di pezzi offerti gratuitame­nte (10 o 20 articoli al mese) oltre i quali scatta la richiesta di un abbonament­o. Leader del mercato è il New York Times che di recente ha superato la soglia del milione di abbonati digitali. Sulla stessa strada si sono, poi, messe anche le altre testate come il Washington Post, giornale che, pure, era stato acquistato dal miliardari­o Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, con intenti apparentem­ente filantropi­ci.

Rari i ripensamen­ti: il canadese Toronto Star è stato uno dei pochi ad abbandonar­e il modello del paywall che, nel suo mercato, non aveva funzionato bene. Ma poco a sud di Toronto, varcata la frontiera Usa, il Boston Globe è diventato il quotidiano locale col più alto numero di abbonati digitali (65 mila) pur facendo pagare l’informazio­ne locale sul web un dollaro al giorno: il triplo rispetto alle altre testate dello stesso tipo.

Stesso scenario in Gran Bretagna dove Independen­t e Daily Telegraph hanno un paywall simile a quello delle testate Usa mentre il Times di Rupert Murdoch adotta una politica ancor più severa: si paga tutto. L’unica eccezione è il Guardian: grande successo di pubblico anche negli Usa e in Australia, il quotidiano britannico vanta oggi il terzo sito in lingua inglese più letto al mondo. Senza paywall che ancora un anno e mezzo fa venne respinto dal direttore Alan Rusbridger: «Roba da Diciannove­simo secolo».

Bene il traffico, ma i conti non tornano: il Guardian ha continuato ad accumulare perdite. In autunno Martin Sorrell, guru della comunicazi­one, fondatore e capo di WPP, gigante mondiale della pubblicità, aveva avvertito: «L’informazio­ne di qualità costa molto: devi adeguare le entrate, il paywall è inevitabil­e».

E proprio ieri il Guardian ha cambiato rotta: continua a dire «no» a un vero paywall ma un altro anno di forti perdite (70 milioni di sterline pari a 91 milioni di euro) ha imposto il piano di risanament­o «Project 2021»: taglio dei costi del 20 per cento e un aumento delle entrate dai lettori, dagli attuali 30 a 60 milioni di sterline l’anno. Come? Estendendo (ma, almeno per ora, non viene precisato come) un programma di membership, una specie di tariffa associativ­a in cambio di servizi.

Ad aprire la strada tra i quotidiani «generalist­i» è stato il «New York Times», nel 2011 Gli esempi europei

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Foto Orsi) La redazione Una recente immagine della redazione del «Corriere della Sera» di fronte alla sede storica di via Solferino (

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