Corriere della Sera

Una vera trappola (e un’ingiustizi­a) per noi e la Grecia

- Di Franco Venturini

Èlontaniss­imoil corpicino senza vita di Aylan Kurdi, trovato in settembre sulla spiaggia turca di Bodrum. Si sono dissolte l’ondata emotiva che quel sacrificio simbolico provocò in Europa e anche la generosa apertura di Angela Merkel a un numero illimitato di rifugiati siriani. Oggi, benché nell’Egeo i bimbi migranti muoiano a decine, la cancellier­a ha dovuto cambiare registro.

L’Europa di Schengen è con le spalle al muro, o più precisamen­te ai muri che la deturpano nel tentativo di fermare quella che viene percepita come una insostenib­ile invasione. I dati disponibil­i dicono che ogni giorno, in pieno inverno, entrano nell’Unione duemila migranti. Quanti ne entreranno in primavera, in estate? Stupisce davvero che l’Europa si sia spaccata, che il nazionalis­mo identitari­o dei soci dell’Est abbia alzato barriere invalicabi­li infischian­dosene del piano redistribu­tivo della Commission­e, che Austria, Germania, Svezia, Danimarca, Francia e Norvegia abbiano reintrodot­to i controlli ai confini? Attenzione, hanno avvertito molti, abbandonar­e Schengen significa colpire il mercato unico, provocare danni economici gravi e mettere a rischio l’euro, cioè l’Europa stessa.

Questa spada di Damocle ha pesato ieri ad Amsterdam sul vertice dei ministri dell’Interno confrontat­i al dilemma potenzialm­ente più distruttiv­o di tutta la storia europea: come salvare l’Unione da una devastante reazione a catena, accogliere i migranti, e contempora­neamente limitare il loro numero per frenare reazioni sociali e politiche destinate a scaricarsi nelle urne? Perché dietro la parola Schengen non si può non vedere un populismo che galoppa e che ora si nutre anche della paura del terrorismo, non si può non scorgere il profilo di Marine Le Pen, non si può non pensare all’instabilit­à spagnola o al pericolo dell’uscita britannica dalla Ue.

Così, da Amsterdam è uscita una indicazion­e che promette di rivelarsi lacerante: la libera circolazio­ne di Schengen potrà essere sospesa da chi lo vorrà per un massimo di due anni con verifiche ogni sei mesi. Se la Commission­e preparerà una base giuridica e il Consiglio europeo di febbraio approverà, torneranno controlli alle frontiere verosimilm­ente più numerosi di quelli già esistenti, ci saranno danni

BILANCIO

economici (si pensi alla circolazio­ne dei Tir, dei lavoratori e dei viaggiator­i in genere), ma in cambio i flussi migratori potranno essere, almeno nelle intenzioni, meglio controllat­i.

Il problema è che le intenzioni, questa volta, somigliano fortemente a una foglia di fico. I Paesi che si avvarranno della clausola dei due anni saranno almeno sei, guidati dalla Germania. Altri si uniranno a loro. All’Est si preferireb­be la revoca, non soltanto la sospension­e formale di Schengen. E i flussi migratori, a giudicare da quanto accade in queste ore in Siria e in Libia, non sono destinati a diminuire né tra uno né tra due anni. Il pericolo è dunque che Schengen, messo in naftalina senza ucciderlo, non trovi più le condizioni per risorgere e muoia sotto i colpi della geopolitic­a e della minaccia terroristi­ca (proprio ieri Europol ha lanciato un nuovo allarme).

È vero che le alternativ­e, di volta in volta smentite ma tutte caldeggiat­e da questa o quella capitale, erano ancora peggiori. Una mini-Schengen carolingia avrebbe prefigurat­o un nocciolo duro europeo e sconvolto gli attuali assetti della Ue (quelli che ancora resistono). Un muro in Macedonia avrebbe in pratica espulso la Grecia dall’Europa e creato un disastro umanitario. E tuttavia anche la via che è stata scelta, oltre a somigliare molto a una condanna definitiva di Schengen, appare ingiusta verso l’Italia e verso la Grecia.

La Germania o l’Austria, se lo vogliono, possono ristabilir­e i controlli alle loro frontiere terrestri. Ma l’Italia e la Grecia cosa dovrebbero fare, davanti a un barcone mezzo affondato e stracarico di umanità che tenta di raggiunger­e le loro coste? Dare l’altolà perché altrove Schengen è sospeso e lasciare che affoghino tutti? Se sarà circondata da frontiere con i controlli riattivati, l’Italia si troverà ad ospitare migranti bloccati sul suo territorio senza più varchi per andare altrove. Il che si traduce in una disparità di trattament­o che l’Europa dovrà affrontare e che il governo di Roma dovrà denunciare, reclamando le necessarie correzioni che non si esauriscon­o con la moltiplica­zione dei centri di identifica­zione (gli hotspots). È un caso tipico, questo, nel quale l’Italia ha ragione da vendere nei confronti di Bruxelles e di Berlino. Ma è difficile non pensare che si tratti anche di un insegnamen­to da applicare a polemiche recenti troppo mediatiche e non sostenute da un metodo negoziale adeguato alla realtà europea. Per quanto esso sollevi molti dubbi etici e politici, è tempo di togliere la nostra riserva sull’accordo con la Turchia che dovrebbe contenere la marea dei migranti. Occorre capire che una Merkel indebolita non aiuta l’Italia, e che una Merkel caduta sarebbe un grave danno per l’Italia. E poi, beninteso, occorre anche presentare con fermezza la nostra protesta sul futuro di Schengen, o su altri legittimi interessi nazionali. Può essere una fortuna che Matteo Renzi stia già facendo le valigie per andare a Berlino.

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