Corriere della Sera

Libia, bocciato il governo di unità La diplomazia si ferma, l’Isis avanza

Il parlamento di Tobruk nega la fiducia: potere frazionato fra «troppi» ministri

- Lorenzo Cremonesi

Nuovi guai in vista per la Libia sempre più nel caos quasi cinque anni dopo la defenestra­zione e il linciaggio del Colonnello Gheddafi. La decisione ieri di 89 sui 104 esponenti del parlamento internazio­nalmente riconosciu­to basato a Tobruk di bocciare l’impianto del progetto di governo unitario sponsorizz­ato dalle Nazioni Unite è causa di nuovi timori.

Alla base del rifiuto sta la critica contro un numero troppo alto di membri del progettato Consiglio Unitario Presidenzi­ale: ben 32, una sorta di elaborato puzzle dei variegati interessi tribali, regionali e delle infinite milizie che si dividono il Paese con le armi in mano. Ed elemento esplosivo, su cui evidenteme­nte non si è ancora trovato accordo, resta Khalifa Haftar, il controvers­o ex ufficiale di Gheddafi, oggi alla testa delle forze militari di Tobruk con il sostegno dell’Egitto, ma assolutame­nte avversato dal governo dei Fratelli Musulmani che fa capo al parlamento di Tripoli.

Una situazione intricata. L’elemento che subito salta all’occhio è che in pochi anni si è passati dalla dittatura accentratr­ice del Colonnello, vissuta per quattro decadi dribblando e spesso fomentando le gelosie dei centri di potere locali per fare in modo che si elidessero a vicenda, al fiorire violento e divisivo di questi ultimi, oggi totalmente incapaci di cogliere gli interessi nazionali. In poche parole: è svanito completame­nte il senso dello Stato unitario, che prima era sostanzial­mente impersonat­o da Gheddafi e a sprazzi da elementi del suo immediato circolo famigliare.

Se fosse un altro Paese si potrebbe forse attendere che dalla confusione del tutti contro tutti emerga il più forte capace di soggiogare gli altri. Ma proprio del fallimento dello Stato adesso sta approfitta­ndo Isis. Una minaccia ormai gravissima per la Libia, per i suoi immediati vicini in Medio Oriente, oltre all’Europa, con l’Italia in prima fila a causa della sua ubicazione geografica e il retaggio storico.

Negli ultimi mesi i jihadisti di Isis hanno conquistat­o Sirte, non a caso roccaforte storica delle tribù pro-Gheddafi ora decise ad allearsi con chiunque pur di riconquist­are il terreno perduto, oltre a vendicarsi contro le milizie rivoluzion­arie e i Paesi della Nato che nel 2011 le aiutarono in modo tanto determinan­te.

Da qui lo sforzo dell’Onu, e

specie dell’Europa occidental­e, per arrivare finalmente a unire Tobruk e Tripoli. Una condizione ritenuta da tanti (con l’Italia in testa) necessaria per avviare il processo degli aiuti economici e soprattutt­o militari sul campo contro Isis. Anche con questo obbiettivo il segretario di Stato Usa, John Kerry, il 2 febbraio tornerà a Roma per partecipar­e alla riunione dei 23 Paesi che compongono il fronte anti-Isis. La Libia sarà all’ordine del giorno e il futuro della sua unità nazionale il tema probabilme­nte più caldo.

Divisi Manca l’accordo sul generale Haftar: guida l’esercito di Tobruk ma è avversato da Tripoli

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