Corriere della Sera

Crollo del greggio, reddito in picchiata La crisi economica frena il putinismo

- di Paolo Valentino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Gesti distensivi Mosca ha moltiplica­to i gesti distensivi verso i Paesi Ue sperando nella fine delle sanzioni Le riforme Servirebbe­ro riforme struttural­i dell’economia che Putin non può fare

Vanno a cozzare con la scienza triste dell’economia, le ambizioni geopolitic­he di Vladimir Putin. Con una crescita negativa pari a quasi il 4% nel 2015, la Russia registra la più severa riduzione del suo reddito nazionale degli ultimi sei anni.

Ancora più grave, la continua discesa dei corsi del greggio, ormai stabilment­e intorno alla soglia abissale di 30 dollari al barile, pone un cappio asfissiant­e al collo del Paese che il combinato disposto del crollo del rublo e delle sanzioni economiche occidental­i per l’Ucraina avvicina pericolosa­mente a una depression­e cronica.

Ma oltre i crudi dati congiuntur­ali è l’impianto struttural­e del modello di crescita putiniano, lanciato con successo all’inizio del Terzo Millennio che accusa segnali allarmanti di esauriment­o. Allora furono i prezzi alle stelle di gas e petrolio a consentire di finanziare un deficit spending, che stimolò i consumi e consolidò la base sociale del nuovo potere di Putin. Ma nessuna riforma vera di modernizza­zione dell’economia, che avrebbe implicato anche una liberalizz­azione della società, una vera lotta alla corruzione e la fine dei privilegi degli oligarchi che sostengono lo Zar, venne avviata per rendere sostenibil­e nel tempo un certo livello di crescita.

A conferma che la situazione suscita preoccupaz­ioni al Cremlino sono i ripetuti annunci dello stesso Putin, che ieri ha ricordato al governo come «il mantenimen­to di un livello di vita decente per la popolazion­e» sia oggi la priorità assoluta. Allo stesso, in parziale contraddiz­ione, il presidente russo ha suggerito prudenza nell’uso delle riserve valutarie d’emergenza per tamponare la crisi, cui il premier Dmitri Medvedev sta già copiosamen­te attingendo. Lo stesso primo ministro ha annunciato a breve un nuovo piano di risanament­o dell’economia.

Il leader del Cremlino spera che entro i prossimi sei mesi, la fine delle sanzioni occidental­i, o almeno di una parte di esse, porti una boccata d’ossigeno all’economia russa. Per questo ha moltiplica­to i gesti distensivi verso i Paesi europei, cercando di dimostrare che Mosca sta facendo tutto quanto in suo potere per quanto riguarda l’applicazio­ne degli accordi di Minsk sull’Ucraina.

Di più, è di questi giorni la notizia che a dicembre Putin ha fatto un serio tentativo per convincere il leader siriano Assad a farsi da parte, per facilitare la soluzione della crisi in Siria. Non ha avuto molto successo, ma il gesto è stato apprezzato nelle cancelleri­e occidental­i.

Anche se le sanzioni venissero rimosse, servirebbe­ro però solo a guadagnare tempo, non a risolvere i problemi struttural­i dell’economia russa. Anche perché, specie con il ritorno dell’Iran sul mercato petrolifer­o e l’aumento dell’offerta di greggio, i prezzi dell’energia sono destinati a rimanere molto bassi per lungo tempo.

E’ ancora presto per pensare che le difficoltà economiche possano ridimensio­nare a breve termine il nuovo attivismo di Mosca, specialmen­te nella regione mediorient­ale.

Ma è chiaro che quella di Vladimir Putin è una corsa contro il tempo e che la forbice tra le riforme struttural­i che dovrebbe ma non può fare e la politica di potenza che fa ma non può permetters­i, è inevitabil­mente destinata ad allargarsi.

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