Corriere della Sera

Maureen e i lupi di Wall Street che molestano le colleghe

Il racconto dell’ex direttrice: i soprusi sulle donne sono la norma

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le tappe di un percorso di successo, con i colleghi che le danno il benvenuto a Wall Street con una pizza condita con preservati­vi (messi al posto delle fette di salame) e che, anni dopo, fanno il verso della mucca quando intravedon­o il suo tiralatte in ufficio.

Nell’editoriale sul New York Times Sherry riporta un colloquio di lavoro avvenuto dieci anni prima con una neolaureat­a di una prestigios­a scuola di business, la quale — forte delle conquiste di chi l’ha preceduta— le chiede come sia per una donna lavorare per Bear Stearns. Per quella richiesta Sherry va in crisi. «Donne come me lavorano per la squadra — scrive sul Nyt —. Come i membri di una famiglia disfunzion­ale teniamo per noi i nostri segreti».

Perché dire alla giovane ambiziosa neodiploma­ta la verità? Raccontarl­e delle gravidanze evitate e nascoste, delle donne assunte «solo se hanno un fratello maschio» e del collega che una volta ha utilizzato la riserva del suo latte materno per macchiarsi il caffè?

In fondo, è vero che il mondo della finanza è aperto e inclusivo rispetto al passato. Non ci sono più le « boom boom room», la famosa stanza per soli uomini nascosta nel seminterra­to della sede newyorkese di Smith Barney, attiva fino alla metà degli anni Novanta. Nei questionar­i di ammissione a Morgan Stanley sono sparite domande come «se litighi con tua moglie di solito chi ha la meglio?» e nel primo impiego dopo l’Mba uomini e donne hanno gli stessi guadagni.

Eppure i numeri — come le storie di Wall Street — continuano a restituire una realtà diversa: poche donne ai vertici che guadagnano molto meno dei colleghi uomini.

Rispetto agli anni delle «boom boom room», il maschilism­o di oggi è congelato nei contratti che obbligano le lavoratric­i a risolvere ogni conflitto con la giustizia privata e segreta degli arbitri: «La maggior parte delle persone è così contenta di avere un lavoro che non si preoccupa dell’idea di dover risolvere eventuali problemi in una sala conferenza alla presenza di un arbitro scelto dalla compagnia», scrive Sherry ricordando che due su tre casi si risolvono a favore di Wall Street. Dalla fine degli anni ‘90 — si legge in Selling Women Short di Louise Marie Roth — banche come Citygroup, Morgan Stanley e Merril Lynch hanno pagato «più di 100 milioni di dollari per risolvere controvers­ie legate alla discrimina­zione sessuale, continuand­o a negare che ci fossero discrimina­zioni contro le donne tra le mura delle loro aziende».

Costringer­e le aziende a ricorrere ai tribunali della giustizia ordinaria sarebbe, secondo Sherry, la strada per risolvere davvero il problema a Wall Street. O quanto meno un buon inizio.

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