Quegli anni d’oro da Marsiglia a Linz Non solo più turisti ecco cosa rimane
Qualcuno sorrise, nel 2013, quando il sindaco di Marsiglia fece sfilare tremila pecore, cavallini e asini nel centro della città, a ricordo delle grandi transumanze europee. Ma l’idea aveva un senso, perché i butteri arrivati dalla Maremma e i pastori-cavalieri della Camargue portavano davvero con sé un pezzo importante di storia. Insieme con le altre 950 iniziative messe in cantiere dalla città per festeggiare il suo scettro di capitale della cultura europea, il risultato fu un’audience, un pubblico complessivo per tutto l’anno, di 11 milioni di persone. Con una «coda» economica che continua ancor oggi: l’87 per cento dell’opinione pubblica marsigliese è favorevole a prolungare i più importanti eventi mostrati allora al mondo, e il Museo della civiltà europea e mediterranea attirava 100 mila visitatori ancora nel gennaio 2014, a manifestazioni concluse.
Da trent’anni, riprendendo l’idea della grande ateniese Melina Mercouri, l’Unione europea sceglie ogni anno le sue capitali della cultura. E con questa Ue di oggi, con il trattato di Schengen a brandelli e il populismo che galoppa furente lungo le frontiere, potrebbe anche sembrare un miracolo. In ogni caso, miracolo o no, la tradizione del premio continua, ed è quasi sempre un volano economico per la città prescelta. Non solo per i finanziamenti in arrivo da Bruxelles, un milione e mezzo di euro per ogni prescelta. Ma soprattutto per le nuove energie che puntualmente si mettono in moto. Anche al Centro-Sud del continente, e anche in città minori, in aree di grave crisi: purché si tirino fuori le idee, il beneficio non manca mai.
Un esempio su tutti, che viene dai dati della Commissione europea: la francese Lille, che conquistò il suo trono nel 2004, ha guadagnato 6-7 euro per ogni euro investito nelle iniziative di allora. Il suo fu un gran «botto», fin dall’inizio: da 600 mila a un milione di spettatori calcolati a spanne per la festa d’apertura, e poi 4 mila giornalisti e 100 mila visitatori al giorno per il sito web. Risultato, quello che già allora si chiamava «ritorno di immagine»: 7.900 articoli sui giornali, duemila servizi televisivi, delegazioni commerciali da 30 diversi Paesi, i pernottamenti in albergo aumentati del 27 per cento, gli incassi di bar e ristoranti cresciuti in media del 7 per cento e da allora rimasti più o meno allo stesso livello. E un’immagine, appunto, consolidatasi fino ad oggi, di città viva e culturalmente brillante.
Genova, in quello stesso anno «co-capitale» insieme con Lille, ne guadagnò un indotto economico complessivo di circa 440 milioni di euro, metà dei quali portati dal turismo italiano e straniero. E non dipese certo solo dal suo mare, dalle spiagge liguri tutt’intorno. Perché la cultura ha rappresentato un volano anche per una città «brutta» come la tedesca Essen, nel cuore grigio delle industrie e miniere della Ruhr. Divenuta capitale per il 2010, e presentatasi con un’imponente esibizione che ricordava 150 anni di migrazioni da 170 Paesi del mondo proprio verso il cuore della Ruhr, come primo atto ha aperto una grande moschea e inaugurato un Museo minerario-industriale che oggi attira visitatori da tutto il mondo. Bilancio finale dell’anno: 90 milioni di euro aggiunti al reddito lordo medio della città, 6,5 milioni di pernottamenti alberghieri, e un buon 13,4 per cento in più nelle presenze turistiche.
E ancora: Guimaraes, città portoghese piagata dalla disoccupazione, nel 2012 in cui ha conquistato il suo trono ha avuto il 106 per cento in più di turisti rispetto al 2011; Tallinn, in Estonia, un +22 per cento di visitatori stranieri nel «suo» anno di grazia 2011; la non famosissima Kosice, in Slovacchia, nel 2013 anch’essa un +19,6 per cento di stranieri.
E l’austriaca Linz, capitale nel 2009? Ha attirato 3,5 milioni di visitatori, non temendo di raccontare loro il suo passato nazista: si è fatto vedere anche qualche gruppo nostalgico, ma la protagonista è rimasta la cultura d’Europa, quella vera.