Corriere della Sera

«La lunga crisi delle democrazie»

L’ex leader pd: sul Senato dirò sì, ma al Parlamento più poteri di controllo

- di Aldo Cazzullo

«Ci sta succedendo quel che di più pericoloso possa accadere a una comunità umana: stiamo perdendo la coscienza della storia».

Walter Veltroni, dice questo proprio nel Giorno della memoria?

«La memoria non è solo quella del computer, senza la quale siamo come gattini ciechi. La memoria è essenziale per la costruzion­e del futuro e la lettura del presente. La mia generazion­e è abituata a pensare la democrazia come unica forma di governo possibile; ma si sbaglia. Certo è la migliore; ma non è l’unica. Non è irreversib­ile. Ed è una creatura giovane. Per una parte dell’Occidente la pienezza della vita democratic­a, il suffragio universale, il voto alle donne sono giunti solo dopo che si erano conosciuti i campi di sterminio; in Grecia, Spagna, Portogallo verso la metà degli anni 70; nei Paesi del blocco comunista dopo l’89. Se non si capisce che ora bisogna curare la democrazia malata si fa un grande errore».

Sta dicendo che la democrazia è in pericolo?

«Le forme di governo non sono altra cosa dal contesto storico, economico, geopolitic­o e persino antropolog­ico del tempo in cui si vive. Noi siamo in un momento di crisi delle democrazie. Ha senso dirlo oggi, perché è dalla tragedia dei lager che nasce la più bella delle nostre conquiste. La Germania di Weimar ci insegna che quando gli istituti della democrazia non funzionano nascono bisogni nuovi; e se si saldano a determinat­e condizioni storiche possono portare all’autoritari­smo».

Dove sono i segni della crisi della democrazia?

«Dappertutt­o. Negli Stati Uniti emergono i due candidati delle ali radicali degli opposti schieramen­ti; Bloomberg, che ebbi modo di apprezzare quand’era sindaco di New York, potrebbe essere il primo presidente eletto fuori dai partiti che hanno fatto la storia d’America. In Inghilterr­a la sinistra è schizzata dal New Labour a una radicalizz­azione estrema. In Spagna non si riesce a fare un governo. In Francia il primo partito è quello di Marine Le Pen. L’Europa rischia di saltare sui valori, a cominciare dalla libera circolazio­ne delle persone stabilita a Schengen. Nel Nord culla della socialdemo­crazia prevale una destra dura. A Est, crollato il comunismo, si ricostruis­cono i muri, stavolta contro i migranti».

Perché accade questo?

«Perché ovunque i meccanismi della decisione sono messi a repentagli­o dalla recessione più lunga e dalla rivoluzion­e scientific­o-tecnologic­a più grande della storia. Talmente grande che lo spirito del tempo fatica a interpreta­rne i mutamenti. La pensiamo come un gigantesco luna park pieno di colori, suoni, meraviglie; senza capire che il luna park sta cambiando il nostro modo di essere. I cittadini ne escono diversi. Cambia la concezione del tempo, del rapporto tra le persone, del rapporto tra sé e gli altri. Cambia la condivisio­ne di esperienze collettive. Anche questo spiega il successo di Trump e Le Pen in Paesi di antiche tradizioni democratic­he».

Di solito la rivoluzion­e tecnologic­a viene letta come una grande opportunit­à.

«In parte è vero. Paradossal­mente viviamo il tempo migliore della storia. Il tempo più lungo senza guerre in Occidente; e il tempo di vita più lungo che gli uomini abbiano mai avuto. Migliorano le condizioni delle zone più povere; non è mai stato tanto facile viaggiare e comunicare. Dovremmo essere più felici della generazion­e che è andata due volte in guerra. Eppure c’è un senso di rabbia e di paura, che ci imprigiona in una spirale dove l’odio e la timore per la perdita della nostra condizione generano risposte irrazional­i».

La politica cosa può fare?

«Se sta dentro il luna park, contribuis­ce a rendere tutto questo più un incubo che una possibilit­à. Il cittadino moderno applica la stessa velocità delle tecnologie alla democrazia. Che ha i suoi tempi, ma deve accelerare i processi di decisione rafforzand­o i processi di controllo. Più velocità, più trasparenz­a: solo così ci si salva dal baratro. E la politica deve ritrovare la grandezza che ha perduto, il senso di una missione storica, il sentimento di una grande impresa collettiva. Oggi la politica viaggia rasoterra. Si è persa nei rivoli del presentism­o, un altro guaio dei nostro tempo: tutto si consuma in 24 ore; si anticipa pure il Capodanno. Dobbiamo ritrovare il respiro, la forza di un senso collettivo, la vocazione a migliorare la vita di ciascuno».

La riforma costituzio­nale approvata dal Senato rappresent­a un passo in avanti?

«Sì, perché va nella direzione del rafforzame­nto dell’esecutivo; non so se va anche verso il rafforzame­nto del controllo. Tutti gli organismi dovrebbero avere maggior potere di decisione: pure i presidenti delle federazion­i sportive farebbero bene a pensare più ai risultati che a farsi rieleggere. Ma il Parlamento, anziché uno strumento di cogestione com’è ora, dovrebbe diventare l’organo di controllo di un governo investito di un consenso popolare determinat­o dal suo programma e dalle sue decisioni».

Il governo Renzi non è passato dalle urne.

«Sto parlando di modelli. Credo proprio che Renzi si proponga questo. Altrimenti la democrazia si squilibra, come in Turchia e in Russia».

Quindi lei voterà sì al referendum costituzio­nale?

«Sì, anche se avrei preferito un Senato più rappresent­ativo delle assemblee locali. C’è un’altra questione fondamenta­le: dobbiamo attivare un grande circuito di democrazia dal basso. Il cittadino non può partecipar­e solo dicendo su Twitter che tutto fa schifo; dev’essere chiamato in prima persona a decidere il destino del suo quartiere, della scuola di suo figlio. Deve diventare parte di una gigantesca rete di partecipaz­ione democratic­a».

L’attuale Pd ha queste caratteris­tiche? Non basta dire che non deve entrarci Verdini, le pare?

«Certo che non basta. Il Pd è il più forte partito europeo. Questa forza conferma le ragioni della sua nascita: è possibile per la sinistra italiana avere una cultura maggiorita­ria. Non amo il dibattito sul partito della Nazione, il contrario della vocazione maggiorita­ria, perché riproduce l’errore di mettere insieme tutti pur di governare; come ai tempi dell’Unione, quando erano ministri Mastella e Ferrero. Il governo per noi è un mezzo per trasformar­e il Paese; non può essere un fine».

Ma Renzi è di sinistra?

«Renzi è segretario di un partito di centrosini­stra. Sinistra non è una parolaccia. Il sentimento della sinistra esiste. Non parlo di quella conservatr­ice, ma di quella della legalità, del cambiament­o sociale, dei valori. Non è un armamentar­io del passato; è l’anima del Pd. Della storia bisogna avere cura, altrimenti comincia una lenta diaspora, una perdita di consenso con conseguenz­e anche elettorali. Il Pd esprima un pensiero politico proprio, quello della cultura democratic­a; non diventi un pendolo che quando si sposta al centro perde voti a sinistra, e quando si sposta a sinistra perde al centro».

Unioni civili: avanti con le adozioni? O meglio fermarsi?

«La società è andata molto più avanti su questi temi di quanto la politica sia in grado di rappresent­are. Le relazioni umane non possono essere compresse dalle norme. Papa Francesco ha fatto grandissim­i passi avanti».

Ma ha ribadito che non si può confondere la famiglia tradiziona­le con le altre.

«Questo lo capisco. Ma non saranno codicilli a impedire il libero dispiegars­i delle varie forme d’amore. Alzare barriere in questi campi vuol dire erigere cavalli di frisia destinati a essere travolti».

Renzi dovrebbe esprimersi più chiarament­e al riguardo?

«No. Mi pare abbia espresso in modo chiaro una volontà su cui sarà difficile tornare indietro».

Neanche dopo il Family Day?

«Ci si indigna se De Rossi o Sarri dicono una cosa sbagliata, e non si tollerano opinioni diverse dalla propria. È normale, anzi è bello che una piazza esprima la propria sensibilit­à, diversa dalla nostra. Non va delegittim­ata o demonizzat­a per questo. Non è che loro sono i conservato­ri e gli altri i rivoluzion­ari. L’importante è garantire la possibilit­à di esprimere le forme dell’amore nella molteplici­tà che oggi obiettivam­ente esiste».

Dobbiamo attivare un circuito di democrazia dal basso. Il cittadino non può partecipar­e solo dicendo su Twitter che tutto fa schifo

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Carriera Walter Veltroni, 60 anni, politico e scrittore, è stato vicepremie­r con Prodi, sindaco di Roma e segretario del Pd dal 2007 al 2009 (Contrasto)

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