Corriere della Sera

«Libia, intervenir­e entro primavera Ma non da soli»

«Nessuna accelerazi­one, tanto meno unilateral­e: occorre evitare azioni non coordinate»

- Di Paolo Valentino

Roberta Pinotti (nella foto) pesa una per una le parole. Troppe volte negli ultimi giorni un intervento militare contro le postazioni di DaeshIsis in Libia è stato dato per imminente. «Non possiamo immaginarc­i di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo, ma non parlerei di accelerazi­oni, tanto meno unilateral­i. Vanno evitate azioni non coordinate. Ci muoveremo, ma insieme ai nostri alleati».

«Non possiamo immaginarc­i di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo. Nell’ultimo mese abbiamo lavorato più assiduamen­te con americani, inglesi e francesi. Non parlerei di accelerazi­oni, tanto meno unilateral­i: siamo tutti d’accordo che occorre evitare azioni non coordinate, che in passato non hanno prodotto buoni risultati. Ma c’è un lavoro più concreto di raccolta di informazio­ni e stesura di piani possibili di intervento sulla base dei rischi prevedibil­i».

Roberta Pinotti pesa una per una le parole. Troppe volte negli ultimi giorni un intervento militare contro le postazioni di Daesh-Isis in Libia è stato dato per imminente, anche in assenza di una richiesta formale, che lo stallo politico sull’insediamen­to del governo di unità nazionale impedisce di concretizz­are. Il ministro della Difesa è appena tornata dall’aeroporto di Ciampino,

tempi del processo politico e si prepara a fornire il tipo di aiuti che i libici hanno già indicato di preferire: protezione del governo quando si insedierà a Tripoli, formazione e addestrame­nto».

Intanto Isis avanza e si rafforza.

«Per questo stiamo valutando con gli alleati quali sono le necessità nel caso di un’emergenza. La stessa missione Mare sicuro, nata come operazione antiscafis­ti, prevedeva sin dall’inizio l’eventualit­à della lotta al terrorismo: ci dà infatti una capacità di intervento nel caso di rischi per le nostre piattaform­e o di altro genere. Per lo stesso motivo abbiamo già spostato aerei a Trapani e costanteme­nte aggiornato la raccolta di informazio­ni sul terreno. In ogni caso nessuno pensa che questa accelerazi­one possa avvenire per decisione militare che non sia parte di una decisione politica».

Ma c’è una impazienza americana in questa fase?

«Ripeto, c’è maggiore preoccupaz­ione, dettata da fattori

reali».

L’Italia rimane in prima fila nella missione libica in ogni eventualit­à?

«Certo. Il ruolo di guida nella missione libica ci viene riconosciu­to perché siamo fra i Paesi che hanno qualcosa da dire. L’impegno e la profession­alità mostrati nelle missioni militari sono alla base della grande consideraz­ione e rispetto di cui gode l’Italia negli Stati Uniti e nella comunità internazio­nale».

Il governo italiano ha annunciato l’invio di 450 soldati a protezione dei lavori alla diga di Mosul. A che punto siamo? Non risulta ci sia stato un seguito.

«Il governo ha dato la sua disponibil­ità. Ci sono tempi necessari per concretizz­are le procedure. Gli iracheni hanno individuat­o nell’italiana Trevi la ditta in grado di fare questo lavoro, enorme e pieno di rischi. Non è stato ancora firmato il contratto. Abbiamo fatto un sopralluog­o e il numero di 450 per garantire la sicurezza dei lavori nasce da questo. Tenga presente che il cantiere si troverà nel territorio controllat­o dai curdi, ma a poca distanza dalle zone dominate da Daesh».

È vero che ci sono riserve irachene all’invio dei militari?

«Mi risulta che ci sia un dibattito aperto nella coalizione di governo, ma le voci che ci sono giunte sono di gradimento e ringraziam­ento».

L’Italia è un Paese sicuro?

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