Corriere della Sera

Vittoria e rischi del governo

- Di Massimo Franco

Quando sono le opposizion­i a scegliere il terreno di attacco al governo, Matteo Renzi dà il meglio di sé. Addita spietatame­nte i loro limiti e contraddiz­ioni. E ne esce trionfator­e. Quanto è successo ieri al Senato lo ha certificat­o.

Se invece il premier deve fronteggia­re i guai interni al Pd e rivedere i propri piani, le dinamiche diventano subito più contorte; in qualche caso elusive. E anche questo aspetto è diventato lampante ieri, con lo slittament­o delle votazioni sulle unioni civili: almeno una settimana dopo la manifestaz­ione del Family Day del 30 gennaio.

Le due vicende non sono in contraddiz­ione. Rispecchia­no la volontà di compattare la maggioranz­a e non correre troppi rischi. Il presidente del Consiglio era consapevol­e di non avere problemi nelle votazioni di ieri. Anzi, deve avere intuito che il tentativo di spallata si poteva trasformar­e in una splendida occasione per segnare un punto a favore. E non solo per il «no» alla sfiducia gonfiato dal gruppo dei transfughi berlusconi­ani di Denis Verdini. Nella maggioranz­a, nessuno era disposto a un voto che avallasse l’idea di un conflitto di interesse del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, per il ruolo svolto dal padre a Banca Etruria.

Gli avversari ne hanno chiesto le dimissioni «per una questione di dignità». Ma Renzi non è quasi entrato nel merito della vicenda. Si è limitato a sottolinea­re «la strumental­izzazione politica»; a lamentarsi dei giornali che, a suo avviso, avrebbero dato più spazio a quella vicenda che all’emergenza dei migranti. E ha detto a Forza Italia, a proposito di conflitti di interessi: «Da che pulpito...»: un’allusione sferzante al doppio ruolo di premier e imprendito­re televisivo di Silvio Berlusconi. L’inciso assurge a simbolo non solo della giornata, ma delle ragioni che spiegano l’invulnerab­ilità parlamenta­re del segretario del Pd anche nei momenti di maggiore debolezza.

Renzi è a Palazzo Chigi grazie agli errori e ai limiti avversari. E ogni volta che gli vengono imputati comportame­nti sbagliati, può rispondere che la colpa di quanto accade è di chi lo ha preceduto; o comunque, che chi c’era prima ha fatto di peggio o non ha fatto nulla. È la linea di difesa che ha scelto sul conflitto di interessi attribuito alla Boschi; sul salvataggi­o delle quattro banche locali, tra cui l’Etruria, che dovevano essere aiutate «25 anni fa». E ancora più netto è stato nel replicare alle accuse di FI di avere una maggioranz­a spuria, ingrossata dai seguaci di Verdini. «Siete divisi, e siete sempre meno», ha detto rivolto ai banchi berlusconi­ani.

Traduzione: siete voi a perdere pezzi, il problema dunque è vostro. I 178 «no» alla mozione di FI e Lega sono un segnale vistoso: la maggioranz­a richiesta era di 141 voti. Dunque, il governo ne ha presi 37 oltre la soglia richiesta. E alla richiesta di sfiducia presentata dal Movimento 5 stelle è andata ancora peggio. Ma questo lascia pensare che sarà difficile un accordo tra coalizione governativ­a e partito di Beppe Grillo quando la settimana prossima si voterà la legge sulle unioni civili. La tensione tra Pd e M5S rimane aspra. E c’è da chiedersi se Renzi sia pronto a sfidare un Senato in bilico su una legge che, nel testo attuale, concede i figli in adozione alle coppie omosessual­i. Il fatto che abbia definito la legge «non rinviabile» faceva presumere che volesse andare fino in fondo, adozioni incluse. E invece, il rinvio è nei fatti, con quasi tutti d’accordo. D’altronde, Renzi sa che il testo è percepito come una forzatura ideologica. Dunque, gli basta che passino le unioni civili. Il resto è trattativa.

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