«Io, vice in commissione e figlio di un camorrista ucciso Ho superato mille calunnie»
Il verdiniano Langella: Cosentino? Visto solo due volte
ROMA «A volte ci penso. Penso di aver scelto la strada meno diritta, forse anche la meno comoda. Come il figlio di un grande giornalista, a cui basta seguire le orme del padre per provare a diventare un grande giornalista, anche io sarei potuto diventare un grande camorrista». Le pause sono brevissime, quasi inesistenti. «Del giorno che ammazzarono mio padre non ricordo niente. Avevo già trent’anni, una moglie e due bambini. Ma è come se la mia testa avesse cancellato tutto, di quel periodo. Pensi che mia figlia fece la prima comunione qualche anno dopo. Non ricordo niente nemmeno di quella giornata. Non la messa, né il ricevimento al ristorante, nulla».
Il 2 ottobre del 1991 Giovanni Langella detto «Il paglietta», camorrista e fratello del boss di Boscoreale, comune dell’area vesuviana a una ventina di chilometri da Napoli, viene freddato da tre killer del mammasantissima Carmine Alfieri. Ammazzato com’era stato ammazzato il fratello Pasquale, che guidava il clan. Il 21 gennaio del 2016, un quarto di secolo dopo, Pietro Langella — 55 anni, figlio di Giovanni e nipote di Pasquale — finisce nelle cronache nazionali per essere uno dei tre senatori verdiniani ad essere eletto alla vicepresidenza di una commissione parlamentare. E racconta per la prima volta il suo biglietto di sola andata lontano da un destino che pareva segnato. «Ho trovato la forza per parlare di una cosa di cui non ho mai parlato».
L’appuntamento con Langella è per martedì 26 gennaio, ieri l’altro. Il senatore del gruppo
La famiglia «Non sono mai stato indagato ma tante volte mia moglie ha dovuto piangere per la vergogna»
Ala finisce di presiedere per la prima volta la commissione Bilancio. Riempie d’acqua un bicchiere di plastica, che sarà usato come posacenere. Accende la prima di una lunga serie di sigarette. «Ho cominciato a fare politica nel 1995. Più volte consigliere comunale a Boscoreale, consigliere provinciale a Napoli, poi vicepresidente del consiglio, poi assessore, poi senatore. Tutte elezioni accompagnate da articoli sul fatto che venissi da una famiglia camorrista. E tutte giornate che finivano a casa con mia moglie che piangeva dalla vergogna e i giornali nascosti ai miei figli... Sa quante volte sono stato indagato da un magistrato? Zero. Sa quante volte ho replicato a quelle calunnie? Zero. Ho vissuto per troppi anni in una terra di mezzo. La terra di chi viene visto come un camorrista dalla gente onesta, e che contemporaneamente viene considerato un “omo e’ niente” dai camorristi».
La calunnia, che nel Barbiere di Siviglia viene descritta come «un venticello», può diventare tempesta, se si sceglie la strada del silenzio. Basta andare su Google, «Pietro Langella», ed eccola là, già dai primi risultati, la camorra. «Fino a oggi, racconta il senatore, ho tenuto tutto dentro. Anche perché, professando la mia onestà, temevo di non essere creduto. La volta che mi elessero vicepresidente del consiglio provinciale, e uscirono gli articoli sulla mia famiglia, mi vergognavo pure a tornarci, a Napoli. Mi prese sotto braccio Tonino Scala, esponente dell’allora Rifondazione comunista e presidente della commissione anti-camorra, una delle persone politicamente più distanti da me, e mi costrinse ad andare con lui
Fino a oggi ho tenuto tutto dentro Ho vissuto a lungo in una terra di mezzo, dove vieni visto come camorrista dalla gente onesta e sei «omo e’ niente» per i criminali
dai fotografi. A cui disse: “Se è camorrista Langella, sono camorrista anch’io”».
Langella ci ha messo del suo, ad assomigliare a un «impresentabile». Ha cambiato tanti partiti, tutti di centro. Lui replica così: «Io sono sempre stato un centrista. Quando si è sciolto il Ccd di Casini, sono finito nel Ppi e poi nella Margherita. Ho evitato il Pd, ché quello era un partito di centrosinistra, e sono andato nell’Udc». E il rapporto con Nicola Cosentino, l’ex berlusconiano oggi in galera? «Visto due volte. Uscii per dei dissidi dall’Udc e Cosentino, che non conoscevo, mi propose tramite Nitto Palma di confluire da indipendente in Forza Italia, garantendo al mio movimento un posto in Senato. Io fui eletto, lui arrestato. Quando lo scarcerarono, andai da lui per ringraziarlo perché aveva mantenuto la parola. Fu la seconda e ultima volta che ci ho parlato».
Non è dato sapere se, dopo questo silenzio durato 25 anni, Langella abbia dietro di sé dei rimpianti. «Non sono mai entrato in un’aula di tribunale. Né mi sono mai costituito parte civile. Giusto? Sbagliato? Non lo so. So che se ti ammazzano un padre, qualunque sia il padre, non hai risarcimenti da chiedere. E se sono cresciuto così, in fondo, lo devo alla mia famiglia. E anche a mio padre».