Corriere della Sera

UN CARABINIER­E COME TANTI CHE FACEVA IL SUO DOVERE

- Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

Un colpo al cuore per vendicarsi di quel carabinier­e che faceva bene il suo lavoro. Uno sparo mortale per punire chi aveva arrestato i suoi due figli, accusati di reati legati allo spaccio di droga, entrambi con svariati precedenti penali.

Non era un eroe Antonio Taibi, il maresciall­o dell’Arma di 47 anni freddato davanti casa dall’ex postino di 72 anni Roberto Vignozzi. Svolgeva sempliceme­nte la propria attività in maniera puntuale e rigorosa. Anche lui aveva due figli, ragazzi di 16 e 21 anni. Uno di loro ha assistito all’omicidio, epilogo drammatico di una storia assurda.

Adesso si dice che Vignozzi era impazzito di rabbia perché il giorno precedente il tribunale ha condannato a un anno di reclusione i suoi figli proprio per la droga. Raccontano che fosse ossessiona­to «perché la mia vita è stata rovinata dalle indagini di quel carabinier­e» omettendo di raccontare che uno era soprannomi­nato «Diabolik» e aveva un passato segnato da furti e rapine. Lui stesso ha confessato dopo il delitto di aver perso la testa e «passato una notte insonne» per il verdetto dei giudici. Ma certo non può essere questa una giustifica­zione sufficient­e per spiegare un gesto tanto grave.

Non era un eroe Antonio Taibi. Era arrivato in Toscana dalla Sicilia, nel paese dove vive la madre tutti lo ricordano come il «gigante buono» e questo basta a comprender­e in che modo svolgesse la propria attività. Il maresciall­o era sempliceme­nte uno fra le migliaia di uomini dello Stato che ogni giorno rischiano la vita per onorare la divisa. Ed è proprio questo il messaggio che adesso dovrebbe arrivare: nessuno può pensare di farsi giustizia, di prendere un’arma e punire chi si è limitato a far applicare la legge.

Hanno ragione il comandante generale Tullio Del Sette e il capo della polizia Alessandro Pansa quando sottolinea­no «la dedizione e l’impegno senza limite delle forze dell’ordine per la sicurezza dei cittadini». Non era un eroe Antonio Taibi, lo diventa adesso per tutti i suoi colleghi che ogni giorno, per stipendi spesso modesti e vite di sacrificio, corrono gli stessi pericoli.

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