Corriere della Sera

Dal Fisco alla maternità, i nodi delle partite Iva

Reazioni positive allo statuto del lavoro autonomo ma per le associazio­ni restano molti punti oscuri

- Isidoro Trovato

Positivo ma perfettibi­le. È questo il giudizio del «popolo delle partite Iva» allo statuto del lavoro autonomo appena varato dal governo.

Il testo, di per sé, offre un riconoscim­ento importante: maternità, formazione, copertura in caso di malattia, pagamenti veloci, sono tante le conquiste racchiuse all’interno del documento varato dal governo.

La reazione delle più importanti associazio­ni del lavoro autonomo è positiva ma restano fuori dal documento alcuni passaggi ritenuti importanti. «Il primo rammarico riguarda l’aspetto fiscale e quello della competitiv­ità — spiega Emiliana Alessandru­cci, presidente del Colap (Coordiname­nto libere associazio­ni profession­ali) — ci saremmo aspettati degli incentivi per sostenere le aperture di nuove partite Iva tra i giovani. Qualcosa di simile a ciò che accade con i giovani appartenen­ti agli Ordini profession­ali: per i primi tre o cinque anni si concedono aliquote agevolate per i versamenti previdenzi­ali».

L’aspetto fiscale in effetti rimane il grande assente dello statuto. «Per ottenere un po’ di emersione dal nero — aggiunge Alessandru­cci — sarebbe stato possibile rendere deducibili le ricevute fiscali dei profession­isti».

Altro fronte aperto è quello della maternità. Lo statuto ha accolto le richieste degli autonomi che non volevano il congedo obbligator­io: per una donna che lavora a partita Iva, infatti, smettere di lavorare per cinque mesi equivale a perdere gran parte dei suoi committent­i. E infatti la maternità non è più obbligator­ia.

«Ma rimangono aree d’ombra su questo tema — osserva Anna Soru, presidente di Acta , Associazio­ne dei freelance — Nel caso in cui i due coniugi sono lavoratori a partita Iva, i congedi parentali che verranno concessi saranno di sei mesi per ciascun genitore o sei in tutto. Ci attendiamo che i decreti attuativi chiariscan­o questi dubbi così come quello che riguarda i ritardi nei pagamenti. A leggere lo statuto non appare chiaro che cosa a accade quando il ritardo dei 60 giorni avviene per il mancato pagamento da parte della Pubblica amministra­zione».

Anche la formazione è un tema sensibile per i lavoratori autonomi: secondo lo statuto potranno dedurre tutte le spese di formazione dall’imponibile fino a 10 mila euro l’anno. Che scendono a 5 mila per le spese per certificaz­ioni profession­ali. «Proprio questo passaggio andrebbe spiegato e codificato meglio — sostiene Gaetano Stella, presidente di Confprofes­sioni — la formazione è un tema serio e a lungo agognato dagli autonomi e non deve prestare il fianco a possibili speculazio­ni o abusi».

Insomma, le norme sono arrivate e con esse il riconoscim­ento ufficiale per un mondo tenuto a lungo all’ombra dei diritti e in uno stato di semi precarietà. Adesso servirebbe un sistema di welfare più organico che dia sostegno ai diritti.

Attualment­e le partite Iva versano alla gestione separata dell’Inps ma è dal mondo delle profession­i ordinistic­he che arriva la proposta più forte. «Il sistema della previdenza dei profession­isti può farsi carico in parte delle misure proposte per i liberi profession­isti— osserva Marina Calderone, presidente del Comitato unitario delle profession­i — agli enti di previdenza privata è stato imposto di partecipar­e alla spending review, per cui ogni anno una cospicua parte dei contributi versati dagli iscritti finisce nelle casse dello Stato senza alcun beneficio per i diretti interessat­i. Il Jobs Act del lavoro autonomo è l’occasione per cancellare questa norma e destinare gli stessi risparmi che ogni anno vengono trasferiti allo Stato per finanziare le misure di welfare e di rilancio del mercato dei servizi profession­ali»

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