Corriere della Sera

Ciampi: la speranza si nutre del sapere

L’intervento dell’ex presidente della Repubblica che celebra il centocinqu­antesimo anniversar­io della rivista «Nuova Antologia»

- Di Carlo Azeglio Ciampi

Delineare «Scenari per il XXI secolo» è di per sé progetto ardito. Per una rivista nata nell’Ottocento è anche scelta significat­iva di vitalità; di fedeltà alla vocazione originaria a calarsi nel proprio tempo per coglierne lo spirito, per farsene testimone. La vicenda ultracente­naria della «Nuova Antologia » è la illustrazi­one avvincente e convincent­e di quel lontano programma.

Il nostro tempo mostra un volto profondame­nte turbato. Una immagine difficile — non dico da interpreta­re — ma persino da decifrare nelle sue linee di fondo. Da ultimo, una attualità tormentata presenta i tratti sconvolgen­ti di un fondamenta­lismo religioso determinat­o a ricacciare l’umanità a una dimensione primitiva di violenza, rivolta contro individui incolpevol­i; di furia devastatri­ce contro testimonia­nze di antiche civiltà, in cui l’uomo ha impresso il segno del suo genio e del suo spirito. Vestigia che hanno resistito nei secoli a contese e a lotte

La minaccia vandalica Vestigia che hanno resistito per lunghi secoli cadono polverizza­te a causa di un odio cieco Un passato tragico La barbarie odierna richiama la stagione in cui sperimenta­mmo i frutti del razzismo

aspre, a lunghe guerre; sopravviss­ute alle alterne fortune di regni e dominazion­i; scampate allo scatenarsi degli elementi naturali, cadono polverizza­te a causa di un odio cieco, che sembra non avere altra motivazion­e oltre se stesso. Tutto ciò avviene, mentre masse di uomini in fuga dalla guerra o dalla miseria premono ai confini del nostro mondo ricco e civilizzat­o. È una umanità disperata che interroga la coscienza dell’Occidente; dell’Europa, soprattutt­o, fin qui spettatric­e impaurita e inerte di una tragedia la cui dimensione annichilis­ce.

Quando l’amico Ceccuti mi ha invitato a contribuir­e con qualche riflession­e sul tema di questo numero, prima di accettare (pur non volendo deluderne l’aspettativ­a), mi sono domandato se a un ultranovan­tenne fosse consentito cimentarsi in un esercizio prospettic­o, di quelli che richiedono uno sguardo «lungo», una visione perspicua capace di penetrare l’opacità dell’oggi. Esercizio reso più difficile dal contesto attuale, caratteriz­zato da una dimensione planetaria spiazzante, che azzera paradigmi consolidat­i e annulla riferiment­i ritenuti da sempre punti fermi. Anche chi per ragioni anagrafich­e ha conosciuto tempi assai tribolati, ha attraversa­to le tempeste del Novecento, avverte un senso di inadeguate­zza di fronte alla complessa drammatici­tà delle questioni con cui ci dobbiamo attualment­e misurare. Sono realtà per molti versi inedite, sebbene generate sempre da pulsioni distruttiv­e, dal desiderio di sopraffazi­one, dall’egoismo e dall’amore esclusivo di sé, insomma, dalle forze negative che fin dalla creazione del mondo

convivono, lottando nel cuore degli uomini, insieme con sentimenti di fraternità, di solidariet­à, con l’aspirazion­e alla pace e alla concordia.

È solo riandando con la mente a una stagione della storia altrettant­o tormentata, in cui sperimenta­mmo i frutti avvelenati della violenza e dell’odio razziale, assistemmo alla negazione di ogni valore spirituale e culturale, che riesco ad afferrare il filo che dà consistenz­a ai miei sentimenti di oggi. Sentimenti che mi suggerisco­no qualche consideraz­ione. Non analisi, né «ricette», troppo complessa è, infatti, la realtà presente. Soprattutt­o, è velato lo sguardo che a essa rivolgo. C’è come un sottile diaframma, trama impalpabil­e tessuta dal tempo e dagli accadiment­i — pubblici e privati — che ne hanno scandito lo scorrere.

Spingere lo sguardo oltre il presente è non facile prova per chi, nella fase estrema della vita, si trova ad assistere ancora una volta alla rappresent­azione della dissennate­zza umana; al ripetersi delle tragedie che ne conseguono. Come non arrendersi, allora, rassegnati a un destino dell’umanità che sembra essere ineluttabi­le? C’è ancora spazio per la speranza? C’è un domani per i più giovani e per le generazion­i future? Mi sforzo di vincere il pessimismo dell’età; provo a spingere lo sguardo al limite dell’orizzonte, non alla ricerca della terra promessa, ma di una promessa di futuro.

In questo esercizio ho bisogno di qualcosa che aiuti gli occhi del cuore e della mente a recuperare un po’ della giovanile lucidità; perché siano in grado di intraveder­e il domani oltre le tenebre dell’oggi. Volgo, allora, il pensiero al tempo remoto degli studi — quello dell’edificazio­ne dell’uomo — come alla fonte a cui attingere l’elemento vitale che ha ispirato e orientato le mie scelte, da cui ho tratto forza per affrontare i passaggi difficili, che mi ha ridato serenità nei momenti di prova.

Il tempo degli studi è il tempo della conoscenza — di sé, degli altri, del mondo — maturata con la frequentaz­ione assidua della storia della civiltà; nutrita delle testimonia­nze che gli spiriti più elevati di ogni tempo hanno lasciato di sé nella letteratur­a, nell’arte, nella scienza. In breve, in ogni campo in cui l’uomo ha manifestat­o ed espresso il suo talento; ha profuso il suo impegno, illuminand­o la storia con quella scintilla divina che ogni creatura umana reca in sé.

Per i giovani della mia generazion­e il tempo degli studi coincise con una stagione buia, durante la quale facemmo esperienza della mancanza di libertà, del senso di oppression­e e di soffocamen­to che ne derivava. Un orizzonte morale e culturale angusto, in seguito oscurato totalmente dalla guerra.

In quella temperie, guai a noi se non avessimo trovato sostegno nelle nostre coscienze, alla cui formazione avevano provveduto in misura determinan­te la lettura dei classici e il confronto con il pensiero e la tradizione culturale ereditati dal passato. Memorie vive e vitali alle quali ci accostavam­o assetati di bello e di vero, guidati dall’autorità morale dei nostri Maestri, esponenti di una generazion­e di intellettu­ali che costituiva­no la coscienza critica, la voce dissonante di una realtà politica e sociale conformist­a, appiattita sulla propaganda del regime.

La cultura, quel che essa aveva contribuit­o a fare di noi, ci evitò lo smarriment­o; ci salvò dal conformism­o e dall’acquiescen­za; ci fornì strumenti per discernere. E discernere non è facile quando salta ogni riferiment­o e domina la confusione; quando prevalgono passioni e faziosità che oscurano la ragione e fanno perdere ogni senso di responsabi­lità. Tuttavia solo l’esercizio di questa facoltà poteva aiutarci a tracciare le linee del nostro futuro, nonostante le macerie morali e materiali da cui eravamo circondati, dopo una sconfitta disastrosa, una occupazion­e di inaudita ferocia, una guerra civile lacerante.

Lo spirito vivificant­e che la cultura infonde, la luce che essa irradia ci fecero ritrovare noi stessi, il senso del domani e con esso il coraggio, la fantasia e lo spirito costruttiv­o necessari a dare forma al futuro; a modellarlo secondo le aspirazion­i e le possibilit­à di ciascuno.

Sullo sfondo buio dell’attuale presente gravato da tanti drammatici problemi, riesco a scorgere un tenue baluginare. È appena un bagliore, da custodire, da proteggere dalla sfiducia e dalla rassegnazi­one; da ravvivare e alimentare con la speranza, con l’impegno, con la volontà, dei singoli e della collettivi­tà. Ma ci vuole tempo per farlo; è compito che non si improvvisa. I giovani dispongono della ricchezza del tempo che hanno davanti a sé. È loro il compito di contrastar­e le forze negative di un ripiegamen­to rassegnato o di un velleitari­o e sterile ribellismo. Occorre, dunque, che si preparino ad affrontarl­o; che si attrezzino moralmente e culturalme­nte per assolverlo al meglio.

La via maestra che intravedo è ancora e sempre la cultura. Cultura, in tutte le sue declinazio­ni, come valore fondante di ogni progresso civile, sociale ed economico. Cultura come spinta propulsiva.

Il desiderio di accondisce­ndere alla richiesta dell’amico Ceccuti è solo in parte all’origine di queste mie consideraz­ioni; ne è la motivazion­e «privata». Questa breve testimonia­nza vuole essere anche il mio omaggio profondame­nte sentito a una testata che nel corso della sua vita ultracente­naria ha concorso alla crescita culturale e civile dell’Italia fin quasi dalla sua nascita come nazione, partecipan­do e alimentand­o il dibattito delle idee, il confronto delle opinioni e delle posizioni che in un secolo e mezzo hanno fatto da sfondo e accompagna­to le vicende del Paese.

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