AI LIMITI DEL BIANCO DAL VECCHIO TOBOGA AGLI SCI FAT PERCHÉ LA MONTAGNA DEVE STARE DALLA PARTE DELLA SICUREZZA
«Osa, osa sempre e sarai simile a un dio». Quando Giusto Gervasutti, il «fortissimo» negli ambienti alpinistici torinesi tra le due guerre, scrisse queste parole di sapore vagamente alfieriano, l’immaginario della montagna era dominato dalle fatali leggende della sfida e del rischio. Oggi nessuno più si sognerebbe di riesumare simili mitologie, perché anche nel mondo degli sport in altitudine, che pure per l’opinione pubblica restano legati al pericolo, si è venuta imponendo una nuova cultura della sicurezza. Al punto che quello che fino a non molti anni fa era l’unico modo di scalare le montagne, oggi è diventato un settore minoritario identificato con l’abbreviazione trad, che sta per «tradizionale». Anche le guide alpine si premurano di distinguere e per l’alpinismo vero e proprio, che è tutt’altra cosa dalla dilagante arrampicata sportiva, parlano di «terreno d’avventura».
All’origine di questo mutamento culturale ci sono due elementi. Il primo è l’istanza più generale che in tutte le attività sociali ha imposto il rispetto di requisiti di sicurezza sempre più severi. Security e safety si intrecciano nella società odierna, che è impegnata a garantire a ciascuno di noi una convivenza libera da minacce all’incolumità fisica, provengano esse dalla criminalità e dal terrorismo o dalle attività che compiamo, dal lavoro al viaggio. Il secondo elemento che ha contribuito all’incremento della sicurezza è la tecnologia, che ci offre strumenti, apparati, attrezzature sempre più sofisticati.
Se ripenso a quando, appena adolescente, alla fine degli anni Sessanta, iniziai a sciare, mi vengono in mente le discese a sbafo che facevamo dopo le nevicate. Purché gli battessimo la pista, gli impiantisti ci facevano salire un po’ di volte gratuitamente. Alla fine le discese erano considerate battute, ma erano solo arate e devastate dai nostri ripetuti passaggi che, me ne resi conto a posteriori, erano risultati una ruvida iniziazione allo scialpinismo e al fuoripista. Oggi invece le piste sono spaziose autostrade nevose, fresate in modo impeccabilmente uniforme, rigorosamente delimitate, dove ogni asperità è stata spianata e dove l’eventuale ostacolo deve essere vistosamente segnalato. Se c’è una scarpata viene stesa una rete di protezione, un albero o un palo della seggiovia sono protetti da soffici materassi, ogni incrocio è preceduto da cartelli segnalatori e da inviti a rallentare.
Un altro modo per sciare gratis era mettersi a disposizione del soccorso. All’occorrenza ci chiamavano via radio e dovevamo precipitarci trascinando un toboga, sul quale avremmo caricato il malcapitato per trasportarlo a valle. Anche se già da ragazzi eravamo buoni sciatori, per nessuna ragione avrei voluto trovarmi al posto dell’infelice affidato alle nostre cure. Oggi, su tutte le Alpi operano squadre di specialisti, che si occupano del recupero degli infortunati e, non appena si ravvisi un trauma più significativo, entra in scena l’eliambulanza che, con un volo di pochi minuti, lo deposita in un letto di ospedale.
Quando oggi, di ritorno dalle gite di scialpinismo, scendo veloce con i miei leggerissimi sci fat, che permettono ampi raggi di curva senza pericolose prese di spigolo, ripenso con tenerezza ai vecchi legni di hickory da due metri e venti, che era come sciare in neve fresca con due barre d’acciaio ai piedi. E che dire dei leggerissimi scarponi in carbonio o degli attacchini al titanio, a fronte dei vecchi lift con leva e cavi, che bloccavano massicci scarponi in cuoio, su cui aveva fatto la sua timida comparsa il primo gancio? La sicurezza è fatta anche di attrezzatura leggera e facile da usare, di attacchi che si sganciano quando la sollecitazione dinamica lo richiede, di caschi capaci di assorbire eventuali urti, di strumenti per la protezione dalle valanghe. Se un tempo si poteva contare solo sulla propria esperienza e sulla buona stella, oggi ci sono nuovi presidi come i localizzatori Artva, che permettono di identificare tempestivamente chi resti sepolto sotto una valanga. Ultimi arrivati gli zainetti airbag, purtroppo ancora costosi, che si gonfiano come un pallone, grazie al quale si galleggia sopra la massa nevosa. Ma soprattutto l’informazione offerta dai bollettini delle valanghe, che sono sempre più accurati.
La tecnologia ha dato una mano a dissipare le mitologie più tempestose della lotta con l’alpe. E se c’è chi, per reazione all’avventura-comfort, ricerca ancora il contatto duro e puro con la wilderness, scegliendo montagne fuorimano, prive di attrezzature e affrontate con il minimo dispiego di materiali, la maggioranza degli appassionati vuole vivere la propria avventura verticale come divertimento. Fun & Safety è il binomio della montagna nella tarda modernità. Lo richiedono i grandi numeri delle frequentazioni e alla fine, forse, è bene così.
Quelle discese a sbafo negli anni 60 per «arare» le piste dopo le nevicate
Penso con tenerezza ai miei vecchi legni di hickory: due barre d’acciaio ai piedi