Effetto banche, la Borsa perde il 3,49% Pesano i dubbi sull’accordo di Bruxelles
Titoli bancari di nuovo in picchiata a Piazza Affari, ma questa volta, più del petrolio, pesa la delusione sulla bad bank made in Italy, il meccanismo concordato con l’Ue per aiutare gli istituti di credito a liberarsi dalle sofferenze. A Milano il listino principale arriva a perdere fino al 4,2 per cento per chiudere a -3,49 per cento.
detto l’agenzia di rating Fitch. Gli aspetti delicati della partita sono diversi: intanto il prezzo che le banche dovranno pagare allo Stato per comprare la garanzia pubblica (stimata attorno all’1% del valore dei crediti per i primi tre anni). E poi gli investitori: la garanzia pubblica copre solo una parte — quella più sicura — dei prestiti emessi per finanziare l’acquisto di questi crediti. Per le altre tranche il prezzo richiesto sarà verosimilmente più elevato. Alla fine, comunque, è sempre questione di prezzo.
Sul mercato c’è interesse, ha detto ieri il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera.
La verità è che il meccanismo, nato sotto le nuove regole del bail-in e frutto di un compromesso politico perché non sia «aiuto di Stato», è solo un palliativo. Ma è tra gli strumenti che il governo ha in mano per calmare le speculazioni che si sono scatenate da settimane sul valore — e dunque, sul rischio effettivo — di questi crediti deteriorati in pancia alle banche, a cominciare da quelle più appesantite come Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ha raggiunto l’intesa sulla bad bank con la Ue Mps e Banco Popolare. La scorsa settimana se n’è avuta una prova. È bastato che si diffondesse la notizia di una lettera di chiarimenti spedita dalla Vigilanza Unica della Bce ad alcuni istituti circa le sofferenze a bilancio per scatenare un’ondata di vendita senza precedenti (forse) a Piazza Affari, innescando anche un deflusso di depositi dalle banche più deboli da parte di clienti impauriti.
C’è anche stato un momento — raccontano in una grande banca d’investimento — in cui sul mercato si era sparsa l’idea che i crediti deteriorati valessero in realtà un’inezia, circa il 18-20% del valore nominale, meno della metà di quello di carico: in caso di pulizia generale, gran parte dei patrimoni delle banche sarebbe azzerato. Da qui le fughe. Solo dopo le parole nette del presidente della Bce, Mario Draghi, che il sistema bancario italiano è solido e patrimonializzato nella media di quello europeo, sul mercato è tornata la calma, sia pure temporaneamente. Ieri i mercati sono crollati di nuovo perché — paradossalmente — l’accordo con Bruxelles aiuta le banche ma scompagina i calcoli dei mercati — che poi sono in gran parte hedge fund americani — e paradossalmente porta «opacità» sul settore.
Alchimie della speculazione: «È folle che una banca faccia più 20% o meno 20% da un giorno all’altro, perché il valore di un credito non cambia dalla sera alla mattina — commenta il capo della sala operativa di una grande banca — Draghi l’ha detto chiaramente che ci vogliono diversi anni».
Di sicuro, nell’immediato, non succederà nulla sul fronte della garanzia pubblica. Solo verso marzo la misura sarà operativa, e solo da allora potranno partire le operazioni. La strada maestra per sostenere le banche in realtà sono le aggregazioni e le altre riforme allo studio del governo per accelerare il recupero dei crediti in sede concorsuale, visto che in media ci vogliono 8 anni di attesa. Ieri il governo ha dato di fatto il via libera all’aggregazione Bpm-Banco Popolare, dopo il summit di mercoledì del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, con i banchieri di Ubi Banca, Victor Massiah, e Banca Popolare di Milano, Giuseppe Castagna.
Ora si tratta di sistemare Mps, che potrebbe finire con Ubi: si tratterebbe di due operazioni che metterebbero in sicurezza Verona e Siena e darebbero il segnale che sulle banche si fa davvero sul serio.
fabriziomassar0