Corriere della Sera

I vini dei presidenti nei cunicoli segreti

- Di Luciano Ferraro

otto le fondamenta di una villa palladiana, nei cunicoli segreti della Prima guerra mondiale sulla linea del Piave, sono stivati i vini per Renzi e Mattarella. Due scritte bianche di gesso su lavagnette nere: Presidenza del Consiglio 2009 e Presidenza della Repubblica 2009. Il vino è Opere, Metodo classico di Villa Sandi, che nella versione Riserva Amalia Moretti resta 7 anni nei sotterrane­i. Quando si cammina lungo queste vie tra le rocce, chinando la testa, sembra di sentire i passi dei fanti che fermarono gli austrounga­rici nella Battaglia del Solstizio che nel 1918 fece 240 mila morti. Qui Lars Gustafsson, il vincitore del Premio Nonino che domani sarà a Percoto, tornerebbe a scrivere, come ha fatto ne Le bianche braccia della signora Sorgedahl (Iperborea): «È possibile uscire dal tempo, certo che si può! Senza alcun sforzo scendo in cantina…».

Sopra le bottiglie per i presidenti, risplende bianca la seicentesc­a Villa Sandi, gigantesch­i lampadari di Murano a candele (ora sostituite da lampadine), armadi che nascondono passaggi misteriosi, e una biblioteca con volumi antichi e foto di remote battute di caccia alla volpe, che a Villa Sandi si pratica ancora, in versione animalista, con i cani che inseguono uno straccio imbevuto di pipì della preda. Il padrone di casa è Giancarlo Moretti Polegato, 58 anni, console del Botswana («grande come la Francia, con gli stessi abitanti della Liguria»), che abita nella barchessa della villa con la moglie Augusta, designer di etichette e creatrice di creme cosmetiche a base di estratti di vite, due figli e cinque cani. Esporta Opere, i Prosecco e i rossi come il Còrpore in 90 Paesi, 25 milioni di bottiglie per 72,5 milioni di ricavi anche grazie al marchio da cui tutto è iniziato, La Gioiosa.

Per raccontare l’inizio della sua storia Moretti Polegato sceglie una piccola casa contadina, «fogher» e tavolaccio, sulla magica collina del Cartizze, dove possiede poco più di un ettaro, ricavando 19 mila bottiglie del cru Villa Rivetta (l’annata 2015 è la più sapida di sempre). Una zona senza giardini, solo viti, ovunque, ogni metro è prezioso. «Vedi questi pali in cemento? - chiede - sono quelli dell’Enel, c’era così tanta fame nel Dopoguerra che si tagliavano e si usavano in testa ai filari. La gente emigrava. Ora nessuno vende la terra, soprattutt­o dopo i casi delle Popolari venete, meglio mezzo ettaro con le viti che un conto in banca, dicono».

Aveva 20 anni, Giancarlo, quando morì il padre Divo. Con il fratello enologo, Mario (Geox e Diadora), prese in mano La Gioiosa. «Poi abbiamo acquistato Villa Sandi da una famiglia di nobili romani che l’aveva abbandonat­a. Mio fratello, dopo un viaggio in Nevada, ha inventato le scarpe che respirano e ha cambiato vita. Intanto le cantine sono cresciute, tra Valdobbiad­ene, Crocetta del Montello e Noventa di Piave. Spumantizz­iamo dal mosto non fermentato, conservato in silos freddi: è come ripetere la vendemmia ogni mese.

Qui arrivano 20 mila visitatori l’anno, abbiamo aperto due Botteghe del Vino e una Locanda». «La nostra è una delle due biodiversi­ty farm d’Italia - racconta l’enologo Stefano Gava - ora stiamo sperimenta­ndo con il Wine Research Team un portainnes­to anti siccità e barbatelle resistenti alle malattie».

Il vino di questa pezzo di Veneto non è più quello descritto in «Addio alle armi» da Ernest Hemingway, volontario della Croce rossa durante la Grande guerra: «Il re era buono ma stupido. Il vino era cattivo, ma non era poi stupido. Toglieva lo smalto dai denti e lo appiccicav­a al palato». E non è neppure, dice Giancarlo, «il vino degli anni 60, quando a Jesolo si beveva Prosecco scaraffato, facendo attenzione a non versare i residui sul fondo». Ora i vini, come Opera, sono affinati per anni tra le rocce dove «è possibile uscire dal tempo».

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