L’autore
caccia a Moby-Dick è immensamente più difficile, perché essa era protetta dalla mano di Dio che la maledice. Ogni onda del mare era intrisa di barlumi demoniaci. Finalmente, sulla nave, tutti gli uomini di guardia avvertirono l’odore particolare propalato dal capodoglio anche a grande distanza; e scorsero la gobba bianchissima e il getto silenzioso, scagliato a intervalli regolari.
Moby-Dick era una specie di Iddio, sia del bene sia del male. Sbandierò la coda in aria come un monito: si rivelò in tutta la sua grandezza, si inabissò, disparve, risalì alla superficie. La sua bocca aperta e scintillante con la mandibola circonvoluta si spalancò sotto la nave come una tomba scoperchiata. Prese in bocca l’intera prua assaporandola lentamente: il bianco perla turchiniccio all’interno della mandibola giunse a meno di sei pollici dalla testa di Ahab, soverchiandola.
Come un’immensa cesoia, la mascella troncò di netto il legno della nave: Ahab cadde in mare a faccia in avanti, gridando: «Fate vela sulla balena!». Moby-Dick scomparve. Si udì un sordo romorio, un rombo sotterraneo. Tutti trattennero il fiato, mentre una forma immensa balzò per lungo ma di sbieco contro la nave: sembrava un salmone scagliato contro il cielo. Scomparve in un gorgo bulicante. Ahab risalì sulla nave con una gamba sola; la gamba d’avorio gli era stata strappata via un’altra volta; ne restava uno spezzone corto ed aguzzo. Egli scagliò il ferro feroce, con una maledizione ancora più feroce, sull’odiata balena. Gridò: «Ti vengo incontro rollando, balena che tutto distruggi e non riporti vittoria; fino all’ultimo mi batterò contro di te; dal cuore dell’inferno ti pugnalo; in nome dell’odio ti sputo in faccia l’ultimo respiro». Tutto scomparve all’inferno: Moby-Dick, la nave, Ahab, i marinai, il libro meraviglioso che in questo momento finiamo di leggere. «Come cinquemila anni fa — diceva Melville — il grande sudario del mare si srotolò rollando».
Sopravvisse solo Ishmael, il grammatico dietro il quale Melville si era nascosto durante la traversata del mare e del libro. Venne tenuto a galla da una bara. Il secondo giorno un veliero si portò più vicino a lui, sempre più vicino, e alla fine lo raccolse. Così, dice Ishmael di nuovo con le parole di Giobbe, «io tutto solo sono scampato per rappresentartelo».
Philippe Parreno (nella foto) è nato in Algeria nel 1964. Hypothesis, la sua mostra all’Hangar Bicocca di Milano termina il 14 febbraio. Vive a Parigi