Corriere della Sera

Tarantino Il passo falso

Western interminab­ile: catalogo delle ossessioni dell’autore americano che vuole stupire la platea con i suoi vezzi

- Paolo Mereghetti

No, The Hateful Eight non è un «grande» Tarantino, nonostante l’Ultra Panavision 70 (millimetri) e una durata che supera le tre ore. È un film molto «tarantinia­no», dove ci sono tutti i suoi vezzi e le sue specificit­à, ma diversamen­te da altri suoi titoli quelle caratteris­tiche qui sono sprovviste di una qualche necessità e smascheran­o un vuoto (d’ispirazion­e?) che il gigantismo della produzione e dello schermo finisce per rendere letale.

Grazie a una simpatica e contagiosa invadenza, e a una conoscenza mirabolant­e del cinema di serie B, il regista ha saputo conquistar­e un posto di primo piano dentro un cinema che sembrava aver perso ogni bussola e che preferiva sottolinea­re i propri limiti invece che cercare di superarli. La citazione, il «plagio» sistematic­o non era più il debito che il cinema di oggi aveva con quello di ieri ma solo la confession­e di una serie di guilty pleasure, l’elenco potenzialm­ente interminab­ile dei propri giochini preferiti. Con tre inevitabil­i conseguenz­e: a livello di «contenuto», la perdita di un qualche sguardo unificante (non si dice morale) capace di mettere in fila i diversi gradi di interpreta­zione e di senso; a livello di «forma», una centralità sempre maggiore data (o meglio: lasciata) ai dialoghi, gli unici capaci con qualche salto mortale di dare un ordine alle scene, che non rispondono più a una vera logica narrativa ma solo al proprio gusto della citazione o della sorpresa. E a livello di regia, il dover ogni volta accentuare la forza delle singole immagini per accecare lo spettatore e stordire la sua voglia di razionalit­à e di gusto.

Se questo modo di procedere era abbastanza evidente in Kill Bill e in Grindhouse e meno in Bastardi senza gloria e Django Unchained, è perché la struttura di genere — il film di guerra e quello storico — aveva imposto a Tarantino dei «limiti» che in quest’ultimo wedi stern non ha voluto più rispettare. Troppo preoccupat­o (forse) di voler rimescolar­e le carte di un genere di cui ha sempre preferito gli epigoni «revisionis­ti», italiani in particolar­e, e troppo compiaciut­o (sicurament­e) della propria scrittura e del proprio gusto per le immagini iperrealis­te, The Hateful Height è diventato un catalogo delle proprie manie e ossessioni, ma ha perso la forza che l’autentica messa in scena è capace di trasmetter­e alla macchina-cinema.

Una «perdita di senso» in cui non è estranea la scelta di girare (in pellicola) nel formato Ultra Panavision, quello che impone all’immagine una base di 2.76 volte più lunga dell’altezza. Il formato di BenHur, di Gli ammutinati del Bounty e La battaglia dei giganti, film che hanno fatto delle riprese in esterno la loro carta vincente. In The Hateful Height invece Tarantino sfrutta molto poco l’immensità degli spazi del Wyoming per imprigiona­re i suoi protagonis­ti prima in una diligenza e poi in un emporio. La pellicola 70 mm (in Italia visibile solo in due locali, a Melzo e Bologna) restituisc­e una straordina­ria profondità all’inquadratu­ra ma quando serve solo per mostrare un occhio tumefatto, un paio di baffi molto folti o una chiostra di denti ultra bianchi, ti chiedi se non sei davanti a una montagna che ha partorito solo un topolino.

E così la storia di un cacciatore di taglie ( Russell) che viaggia con la donna che deve consegnare alla giustizia (Jennifer Jason Leigh) e che durante una tempesta di neve accetta di dare un passaggio sulla propria diligenza a un altro bounty killer (Samuel L. Jackson) e a un sedicente sceriffo (Walton Goggins) ma poi è co- stretto a cercare riparo per la tormenta in un emporio dove lo attendono quattro persone — un ex generale sudista (Bruce Dern), un messicano (Demian Bichir), un boia (Tim Roth) e un misterioso cowboy (Michael Madsen) — diventa una versione verbosa e splatter dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie: chi non è quello che dichiara di essere e vuole solo impedire che la donna finisca sulla forca?

Per saperlo dovremo sorbirci tre ore di interminab­ili dialoghi, compiaciut­i e francament­e poco divertenti, dove l’unica cosa che interessa a Tarantino sembra la distruzion­e di ogni possibile mitologia, western o nordameric­ana fa poca differenza (ne fa le spese anche Abramo Lincoln). Ma senza un vero perché. E soprattutt­o senza un vero interesse.

 ??  ??
 ??  ?? Insieme Kurt Russell, 64 anni, a sinistra, sorride ai fotografi assieme a Quentin Tarantino, 52, durante la presentazi­one italiana del film
Insieme Kurt Russell, 64 anni, a sinistra, sorride ai fotografi assieme a Quentin Tarantino, 52, durante la presentazi­one italiana del film

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy