Corriere della Sera

Quella minaccia su Schengen

- Di Maria Teresa Meli

Sbloccate i finanziame­nti alla Turchia e potrete entrare a far parte della coalizione dei volenteros­i impegnata nella questione delle frontiere e di Schengen. Questo lo scenario disegnato da Merkel a Renzi. Il premier italiano si è detto persuaso di aver convinto la cancellier­a che l’Italia non è più disposta ad accettare soluzioni preconfezi­onate sulla Ue. «Siamo uno dei Paesi fondatori», ha ribadito Renzi.

«Per me l’incontro è andato molto bene»: prima di salire sull’aereo che lo porterà in Italia, Matteo Renzi non cela la sua soddisfazi­one per l’esito del colloquio con Angela Merkel. È ovvio che si è trattato di un incontro interlocut­orio e, a tratti, anche duro. Quindi i risultati positivi concreti sono stati pochi. Ma il confronto, ed è questo che premeva a Renzi, consapevol­e di non poter ottenere di più, ha sgombrato il campo da alcune incomprens­ioni, perché i due si sono chiariti direttamen­te.

Lo si capisce, davanti alle telecamere e ai microfoni accesi, quando la Cancellier­a tedesca esordisce chiamando amichevolm­ente il premier «Matteo» per ben due volte nel giro di tre minuti. Lui, il «nominato», spiega: «Ho detto chiarament­e alla Merkel che non volevo arrivare in Europa e trovarmi di fronte a soluzioni preconfezi­onate e lei ha capito». Per una volta il premier non sembra peccare di ottimismo su questo punto, perché anche dall’altra parte (quella tedesca) fanno sapere che l’Italia è un interlocut­ore importante.

Anche se è ovvio, come ammette lo stesso Renzi, che «ci dividono ancora tante cose». Sicurament­e la questione, non da poco, degli stanziamen­ti alla Turchia. Perché Renzi non intende dare un euro prima di avere la certezza che quei finanziame­nti non vengano computati nel patto di Stabilità. Ma di fronte a questa posizione il premier si è sentito rispondere che in questo caso la Germania potrebbe fare a meno del nostro Paese nella coalizione

dei volenteros­i che creerebbe un asse per rimettere in discussion­e Schengen, il che provochere­bbe grandi difficoltà sia all’Italia che alla Grecia, che verrebbero invase da ondate di migranti.

Per il resto, Renzi è convinto che la Cancellier­a abbia capito perfettame­nte il discorso che le ha fatto sul ruolo dell’Italia nella Ue. «Io non sto mettendo le mani avanti con l’Europa, guardando ai conti dell’Italia, la mia è una precisa strategia. Avevo detto sin dall’inizio che, siccome ora abbiamo la nostra credibilit­à, ci facciamo sentire».

Insomma, il punto a suo favore Renzi lo segna sul terreno che più gli interessa in questo momento: «Noi siamo i protagonis­ti dell’Europa al pari degli altri Paesi fondatori». Dunque, Renzi non va allo scontro frontale con la Germania, nonostante le asperità del colloquio. Né, in realtà, queste erano le sue intenzioni.

Anzi, dimostrand­o alla cancellier­a che «l’Italia non è subalterna a nessuno» e portando all’incontro a Berlino il neoambasci­atore permanente a Bruxelles Carlo Calenda, il presidente del Consiglio ha voluto mandare un messaggio ben preciso all’indirizzo di Jean-Claude Juncker.

Il presidente della Commission­e Ue deve sapere che per andare avanti non può fare finta che l’Italia sia quella «di un tempo che prometteva e non manteneva», ma deve accettare il fatto che il nostro Paese sia diventato «un interlocut­ore ineludibil­e» e che è con Renzi stesso che deve fare i conti, senza passare per Federica Mogherini, perché la politica italiana si decide a Palazzo Chigi e non altrove. E se il segnale a Juncker arriva da Berlino è ancora più importante. Anche questa è stata una mossa calcolata, dal momento che il presidente del Consiglio sapeva bene che Merkel per prima non era intenziona­ta a ridurre il colloquio con lui a una polemica pubblica: «Lei non ha interesse ad andare allo scontro palese, per la pressione mediatica che ha nel suo Paese sulla questione dei profughi».

Ma la strada, come si è detto, non è in discesa. Tutt’altro. È con Juncker adesso che il presidente del Consiglio dovrà vedersela (a febbraio). È a Juncker che, ancor prima del vertice di Londra, Renzi chiede di mettere nero su bianco il fatto che gli stanziamen­ti italiani alla Turchia non verranno calcolati nel patto di Stabilità. Ed è ancora con Juncker che il premier italiano dovrà ingaggiare un braccio di ferro per ottenere

almeno una parte della flessibili­tà richiesta. Una parte sì, perché quello che si è capito è che non avremo tutta la flessibili­tà voluta.

Ma il Renzi di ieri era tutto teso a costruire un rapporto, seppure dialettico, con Angela Merkel. E ci è riuscito. Non solo sul terreno internazio­nale, dove i due si sono trovati d’accordo a non compiere blitz in Libia senza sapere dove si andrà a parare.

Su un altro punto Renzi ha trovato orecchie sensibili da parte della cancellier­a. Sul rischio che il «populismo si alimenti grazie all’attuale politica europea». Su questo punto Merkel ha ascoltato il premier italiano. Il quale, comunque, da quando ha avviato questa offensiva nei confronti della «miope politica europea», ha visto salire nei sondaggi la sua credibilit­à. L’ultima rilevazion­e riservata della Swg, che arriva settimanal­mente ogni venerdì, mostra che l’indice di fiducia nel futuro è passato dal 31 per cento al 41, mentre il Pd, che il 17 dicembre era fermo al 32,9, ora si attesta al 34,8.

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