Una relazione necessaria
Non è un caso che Matteo Renzi abbia ricordato che quella di ieri era la sua quarta visita in Cancelleria e la terza da presidente del Consiglio. Le radici del suo rapporto con Angela Merkel risalgono infatti all’estate del 2013.
Eper comprendere bene l’evolversi di questa sorta di relazione pericolosa — ben diversa da quelle del romanzo epistolare di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos — bisogna tornare sempre a quel giorno in cui, senza dire niente a nessuno, l’allora sindaco di Firenze accettò l’invito a Berlino. La donna più potente del mondo voleva conoscere il giovane politico italiano. Da allora molto tempo è passato, ma Renzi continua ad avere un debito di riconoscenza per l’ex pupilla di Helmut Kohl, a cui attribuisce se non altro il merito di avere puntato su di lui. Sarà anche per questo, ma sembra che il premier si sia convinto della necessità di un’intesa con la Germania e con la sua leader, al di là delle differenze di posizioni su molti temi (confermate dall’incontro di ieri), delle intemperanze calcolate di alcune prese di posizione recenti e della volontà programmatica di tenere viva la tensione dialettica. Non è una questione personale, ma politica. Molto è cambiato da quando i capi di governo italiani andavano a Berlino per ricevere un buon voto in pagella sul loro programma di riforme. Le relazioni bilaterali sono attualmente meno vincolate da questa specie di ansia da prestazione. Certo, la Germania continua a sorvegliare i conti europei ma preferisce fare da burattinaio della Commissione. A chi ha ascoltato ieri il presidente del Consiglio non è sfuggito che l’unico accenno polemico sia stato destinato proprio alla squadra di Jean-Claude Juncker, che non ha ancora dato risposte sui dettagli del controverso accordo con la Turchia ma “ha sempre tempo per parlare con la stampa”. Almeno in pubblico, poi, Renzi ha evitato di chiedere una prevedibile interpretazione tedesca del concetto di flessibilità, sottolineando che l’esistenza di un margine negoziale è scritta sui documenti e fa parte del mandato con cui è stato eletto il suo nuovo rivale lussemburghese.
Gli incontri possono anche
Interrogativi Solo un forte impegno dei tedeschi può evitare il fallimento del Trattato di Schengen
non finire bene, ma poi si deve andare d’accordo con la Germania. Soprattutto, perché la Germania è cambiata in questo ultimo, complicato anno. La crisi dei rifugiati ha mutato totalmente lo scenario: il disordine sotto i cieli europei è evidente. La verità è che la politica delle porte aperte della cancelliera ha fatto diventare «buono», per così dire, il governo tedesco in uno scenario popolato da molti «cattivi», cioè i Paesi che vogliono chiudere le frontiere spostando ancora la pressione dei flussi nelle acque sfortunate del Mediterraneo. E solo un forte impegno dei tedeschi — che Angela Merkel peraltro ha evitato di garantire — può evitare che, come ha detto Renzi, l’Europa «perda se stessa perdendo Schengen». In secondo luogo, «questa» Germania, in cui dicono la loro anche i socialdemocratici, è indispensabile per vincere la battaglia contro le forze della destra populista (e anche a Berlino c’è molta attenzione su un rischio che non è più solo un problema degli altri) che avanzano minacciosamente sfruttando la paura di una fortezza assediata.
In questa ottica non è sorprendente vedere come Renzi abbia in qualche modo riscoperto il senso di appartenenza allo schieramento europeo progressista, facendo riferimento (per spiegare le differenze, come quelle sulla austerità) alla sensibilità di una famiglia politica diversa da quella della sua ospite. Ma le due famiglie, dai confini abbastanza aperti, hanno oggi più che mai bisogno l’una dell’altra.