Trump Iowa, in fila con i sostenitori del miliardario: tutti bianchi
DES MOINES (Iowa) Alle otto di sera, quando Donald Trump compare nell’auditorium della Drake University a Des Moines, una fila lunga 246 passi è in attesa nel buio del parco. L’aria è fredda: tutti sperano ancora di entrare. Dentro, settecento posti bruciati in un attimo, fuori, 1000-1.200 persone. Trump annuncia: «Siamo migliaia e migliaia». Esagera, come fa spesso e provoca, come fa sempre: «Perché le televisioni non vanno a riprendere la nostra folla?» Invece le telecamere ci sono: quelle delle grandi catene americane, della Bbc e degli altri. Su un punto, però, il miliardario newyorkese ha indubbiamente ragione: l’evento della giornata di ieri è questo, non il dibattito tra i candidati repubblicani organizzato da Fox News.
Davanti all’Iowa Events Center di Des Moines si raccolgono crocchi di militanti e qualche curioso, giusto per veder passare Ted Cruz, Marco Rubio, Jeb Bush. Non c’è neanche un centesimo dell’elettricità, dell’allegria che si accumula a sei minuti di macchina, nella coda per vedere Trump. Tantissimi giovani e giovanissimi, studenti per lo più degli atenei locali. Sono arrivati presto, alle 16, alle 16.30 come John, ventenne dell’Illinois, vestito con i colori della bandiera: mantello blu, papillon a strisce rosse, tuba, floscia, dello Zio Sam. C’è una discreta rappresentanza di donne. Ma la cosa che colpisce è un’altra: sono tutti bianchi. Risalendo lungo il serpentone, fino al blocco dei controlli non si vede neanche un afroamericano. Neanche uno, giovane o anziano che sia. Anzi no, in verità uno c’è: vende abusivamente i gadget preparati per l’occasione. Spille, t-shirt. «Gente, ho anche la felpa con la scritta Trump, è dorata, interessa?». Zero latinos, anche. Una giovane coppia di pachistani, lei con il capo coperto da un velo azzurro, si affaccia sul parco. Le telecamere accorrono: falso allarme, marito e moglie erano solo incuriositi dall’animazione, stanno tornando a casa. Jeb Bush sostiene, e lo ha ripetuto anche in casa Fox, che Trump potrà pure svuotare il bacino elettorale dei bianchi arrabbiati e frustrati, ma «senza una proposta più inclusiva non si vincono le elezioni».
Il popolo trumpiano scrolla le spalle. «Donald» è vissuto come un leader naturale, per così dire di prossimità, anche se gira solo con l’ aereo personale. Michelle Bell è una violinista: «Non è un politico, ma “Donald” sa che cosa serve al nostro Paese. Abbiamo bisogno
Il popolo di Donald Sostenitori di Trump in coda, mentre attendono l’arrivo del candidato repubblicano. Molti di loro lo chiamano semplicemen te «Donald» ( foto John Minchillo /Ap) di uno come lui » . Per quali motivi lo spiega, parlando come una macchinetta, un ragazzo di diciassette anni, per la prima volta al voto, occhiali grandi su una bella faccia rotonda: «“Donald” farà scendere il debito pubblico, farà crescere l’economia e farà calare il tasso di disoccupazione». E’ venuto con sua madre che lancia un’occhiata compiaciuta: visto che roba?
L’iniziativa alla Drake University è stata improvvisata due giorni fa, quando Trump aveva rifiutato di partecipare al confronto con gli altri candidati, in polemica con la moderatrice Megyn Kelly. «Non ci vado da Fox. Faremo qualcosa per raccogliere fondi a favore dei nostri amati veterani». Una scelta popolare in uno Stato come l’Iowa: da qui sono partiti tanti giovani per i fronti delle guerre americane. A Des Moines uno degli edifici principali, costruito nel 1954, è proprio il Veterans Me- morial Auditorium. E il primo americano ucciso nella Grande guerra, Merle Hay, veniva da Glidden, poco lontano da qui. E’ ancora considerato un eroe: la capitale gli ha dedicato una strada, il suo villaggio natale un monumento nel cimitero.
Anche Paul Saven è un ex militare: ha combattuto quattro anni in Vietnam, «no niente corpi speciali o marines, ero nell’esercito». Può saltare il lungo serpentone, prendere un posto in prima fila. Il veterano del Vietnam usa due volte la parola «cuore» nel giro di una frase «Appoggio con tutto il cuore Donald Trump. Sì, è vero, dobbiamo avere cuore, ma anche la testa per capire che cosa è giusto e cosa è sbagliato. E oggi l’immigrazione clandestina è una cosa sbagliata e dobbiamo fermarla. Trump lo può fare».
Per Paul e per gli altri come lui, per i reduci dell’Afghanistan, dell’Iraq l’altro ieri sono stati raccolti circa 6 milioni di dollari. Uno ce l’ha messo di tasca sua il miliardario newyorkese. La «serata per i veterani», in realtà, è durata cinque minuti, poi «Donald« ha preso il largo con il suo repertorio di attacchi e di promesse. Nel parco, ormai immerso nell’oscurità, hanno montato gli schermi: si gela, ma restano tutti.