Il ricciolo di Barbablù
La mitica scultura rubata in Sicilia negli anni 70 è la stessa esposta dal Getty Museum di Malibù Due archeologhe italiane l’hanno scoperta e riportata a casa. Grazie a un particolare
Se George Clooney volesse cimentarsi in un remake di Monuments Men stavolta potrebbe scegliere come interpreti due donne, due eroine a caccia della testa perduta. La Testa di Ade. Rubata alla fine degli anni Settanta nella saccheggiata area archeologica di Morgantina, nel cuore della Sicilia, passata nelle mani di trafficanti e collezionisti fino ad approdare al Paul Getty Museum. A Los Angeles. Nella villa di Malibù dove le due paladine hanno scoperto che un ricciolo di quel faccione barbuto, rinvenuto nei magazzini a due passi da Enna, combaciava perfettamente con il resto dell’opera volata Oltreoceano.
«È stata la nostra scarpetta di Cenerentola», commenta divertita Lucia Ferruzza, una delle due archeologhe da vent’anni in servizio ai Beni culturali della Regione siciliana. Pronta a ricordare come cominciò la storia a lieto fine che culmina nella restituzione e nel ritorno a casa della preziosa testa chiamata ormai da tutti Barbablù. Un soprannome affibbiato da Serena Raffiotta, l’altra archeologa nata e cresciuta a due passi da Morgantina, ad Aidone, il padre per vent’anni impegnato nella lotta ai tombaroli come procuratore della Repubblica di Enna. «Sì, sono stata allevata a pane a terrecotte», sorride Serena mostrando la sua tesi di specializzazione all’università di Catania, la stessa che nel 2007 fece scattare la prima scintilla quando a un convegno Lucia Ferruzza si trovò a sfogliarla.
Perché Serena aveva dedicato una pagina a un reperto che l’aveva incuriosita: «Uno straordinario ricciolo blu. Scovato
La «prova scarpetta» «Il Getty ha voluto che inviassimo negli Usa il frammento per vedere se calzava davvero»
nei meandri del santuario extraurbano di San Francesco Bisconti a Morgantina » . E Lucia scrutandolo pensò subito a quella testa vista per la prima volta nel 1987, anno di una prima borsa di studio e di una visita al Getty: «C’ero poi tornata nel 2000, incaricata dal museo di una ricerca sulle terrecotte. Cominciando dalla misteriosa testa indicata come gioiello proveniente genericamente dall’Italia meridionale e, come si leggeva nel cartellino sotto la teca, “probably Zeus”».
Da allora le vite della figlia del procuratore di Enna e dell’archeologa con ufficio a Palermo non si sono più separate. Impegnate a convincere sovrintendenti, assessori, carabinieri, ambasciatori e mediatori a credere nella loro tesi. Un modo per «costringe- re» il Getty ad avviare una trattativa, mentre ne era già partita un’altra conclusa qualche anno fa con il ritorno di una preziosa scultura, la Venere di Morgantina. «Abbiamo ricostruito il viaggio della testa rubata», racconta Serena pensando al lavoro del padre, Silvio Raffiotta. Furono le sue indagini, supportate fino alle ultime settimane dal nucleo Tutela patrimonio culturale dei carabinieri, a fare identificare testimoni e intermediari, compreso l’antiquario di Londra, Robin Symes, che aveva venduto la testa al collezionista miliardario Maurice Tempelsman, l’ultimo compagno di Jacqueline Kennedy che poi incassò 530 mila dollari dal Getty. Adesso sono tutti euforici in Sicilia, anche l’assessore ai Beni culturali Carlo Vermiglio che promette gran risalto per la Testa di Ade e non risparmia encomi a Lucia Ferruzza, fiera come Serena Raffiotta evocando quella «prova scarpetta»: «Gli esperti del Getty non erano convinti della nostra tesi. Vennero in Sicilia. Si dovette fare un calco del ricciolo, frattanto esposto al museo di Aidone. A Los Angeles capirono che forse avevamo visto giusto. Ma ci voleva la controprova. E partì per la California il ricciolo originale, con il direttore del museo, Enrico Caruso, delegato alla verifica, entusiasta al telefono: “Calza benissimo”». Appunto, come nella favola di Cenerentola, era il ricciolo di Barbablù.