Corriere della Sera

L’Occidente tedesco di Heidegger

Il filosofo pensava che la missione della Germania fosse aprire la strada a un nuovo inizio

- Di Donatella Di Cesare

Esce in questi giorni, nell’eccellente traduzione di Alessandra Iadicicco, il secondo volume dei Quaderni neri di Martin Heidegger (Bompiani) in cui sono comprese le Riflession­i che vanno dal 1938 al 1939. Alle quasi 700 pagine del primo volume si aggiungono così altre 584 pagine: una sfida per i lettori italiani, ma anche un monito. Perché sarebbe doveroso affrontare il testo in modo critico, prima di emettere giudizi sbrigativi o di lasciarsi andare a facili scoop.

L’ultimo è quello lanciato dal giornalist­a tedesco Thomas Vašek, e ripreso da Angelo Bolaffi («Repubblica», 4 gennaio), secondo cui Heidegger non sarebbe che un epigono di Julius Evola e del suo razzismo. La prova flagrante sarebbe un fantomatic­o foglietto, di poche righe e di oscura provenienz­a, che potrebbe, tutt’al più, essere un appunto. Per i tedeschi un bel modo, certo, per scaricare sugli altri responsabi­lità proprie. Sì, perché il nazismo non è stato il fascismo. E soprattutt­o perché l’antisemiti­smo metafisico di Heidegger non è riducibile al razzismo tradiziona­le. D’altra parte l’aggettivo «metafisico» non mitiga l’antisemiti­smo, bensì ne indica la gravità abissale. L’antisemiti­smo metafisico di Heidegger ha una provenienz­a teologica, una intenzione politica, un rango filosofico.

Se deleteri sono, per un serio dibatto, i vuoti scoop, esiziali sono gli interventi dei «negazionis­ti» dell’ultima ora, quelli che pretendere­bbero di cancellare con una spugna i passi antisemiti. Come se Heidegger non parlasse di Verjudung o di Weltjudent­um, cioè di «ebraizzazi­one» e di «ebraismo mondiale» — termini non neutri, né casuali. Nei Quaderni neri vengono mosse, d’altronde, accuse precise: privi di suolo, di fondo, di fondamento, gli ebrei sono gli sradicati agenti dell’accelerazi­one, della tecnicizza­zione del pianeta, della desertific­azione della terra. Ma soprattutt­o gli ebrei sono la figura della fine che si ripete, impedendo al popolo tedesco di risalire al mattino dell’Occidente.

Proprio l’Occidente è uno dei grandi temi del secondo volume dei Quaderni neri. Il tedesco Abendland rende bene ciò che l’etimologia suggerisce: l’Occidente è la «terra della sera», il Paese dove sembra che il sole vada declinando. Dalla prospettiv­a dei greci — s’intende. Sono allora le coste dell’Esperia, dell’Italia odierna, quelle dove il sole pare quasi inabissars­i nel mare. Ma non si deve fraintende­re: per Heidegger l’Occidente non è un luogo geografico, né un sistema di valori, bensì un’epoca nella storia del mondo. E gli esperii sono quelli venuti tardi e dopo — rispetto ai greci. L’inizio dell’Occidente è greco. Non è possibile, perciò, alcuna meditazion­e sul mondo occidental­e senza un confronto con quel primo inizio greco. Il che vuol dire riprendere il filo della «filosofia» che

L’equivoco Una visione metafisica che non può essere confusa con il razzismo tradiziona­le di Evola

costituisc­e la trama segreta della storia occidental­e.

Sebbene l’Occidente sembrasse sprofondar­e nel nulla del nichilismo europeo, non si trattava di un tramonto, Untergang — secondo la famosa profezia di Spengler — bensì di un passaggio, Übergang. Il buio di quell’epoca, al termine degli anni Trenta, è considerat­o da Heidegger non come l’oscurità della fine, ma come lo spegnersi dell’ultimo lume della sera che avrebbe permesso

L’antisemiti­smo Viene escluso l’ebreo che resta un nemico perché privo di suolo e di fondamento

di scorgere l’albore del mattino. Non si poteva, certo, resuscitar­e il primo inizio greco; ma si doveva attraversa­re sino in fondo la lunga notte dell’Essere, per risalire, oltre la metafisica, quella perversa malattia dell’Occidente, a un «altro inizio». La Terra della Sera avrebbe dovuto risvegliar­si a una nuova, dorata alba, scoprirsi Terra del Mattino.

Chi avrebbe potuto scorgere il passaggio, là dove tutti vedevano un crollo ineluttabi­le? Chi poteva seguire la strada della fine, per imboccare il sentiero dell’inizio? Solo i tedeschi. Il destino dell’Occidente, la sua «salvezza» era nelle loro mani. I tedeschi avrebbero dovuto essere gli Übergehend­en, «coloro che passano oltre», che aprono un varco anche per gli altri popoli europei. Ecco il loro compito.

«Tutto il ”sangue”, tutta la ”razza”, ogni ”carattere nazionale” è inutile, e solo un decorso cieco, se non vibra già in un azzardo dell’Essere». Più volte Heidegger si chiede: «Dove sono finiti i tedeschi?». La decisione a cui li richiama è filosofica: tra il sonno dell’uomo occidental­e, immerso negli enti, e il risveglio all’Essere.

Ma non per questo i termini sono meno gravi. Nell’epoca della fine il rischio non sarebbe solo la vittoria della metafisica, ma anche, per quel legame di complicità che li lega, la vittoria dell’ebraismo. Vincerebbe allora «la più grande assenza di suolo che, a nulla vincolata, tutto quanto si asservisce (l’ebraismo)». Già nel 1938, all’indomani della Notte dei cristalli, Heidegger parla di «battaglia», e non esita a individuar­e nell’Ebreo il nemico metafisico che impedisce ai tedeschi l’accesso all’altro inizio. Il tratto greco-tedesco lascia fuori gli ebrei, l’asse dell’Essere li esclude. Per loro — questo è il verdetto — non c’è spazio nella topografia dell’Occidente.

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