Serena Uccello racconta gli alunni del liceo di Rosarno (Melampo) Nessun destino è segnato, neppure in Calabria
Sulla base dell’esperienza personale (fu consigliere politico di Bassolino a Napoli) Calise si rivolge poi alla sinistra e le rimprovera di aver perso la grande occasione della primavera dei sindaci. Che cosa fu, quella, negli anni Novanta, se non un’anticipazione della democrazia del leader? Nel mettere da parte i «cacicchi» di dalemiana memoria e preferendo alleanze dall’alto (prima l’Ulivo, poi l’Unione), la sinistra si è invece cacciata in un vicolo cieco, lo stesso in cui è rimasto intrappolato Bersani. Ora, però, c’è Renzi, non a caso un ex sindaco. Ed è tutta un’altra storia. Sulla sua strada, fa intuire Calise, l’ostacolo vero non è tanto Grillo, ulteriore variante di quel populismo «che si appresta a diventare la forma egemone della politica contemporanea», ma il fattore M. Cioè il potere «intoccabile» e «irresponsabile» della magistratura e quello ancor più insidioso dei media. Berlusconi docet. E lo stesso potrebbe dirsi di Bassolino. Calise se ne preoccupa e non lo nasconde. «Sotto l’attacco del fattore M, anche il leader di maggior successo può trasformarsi rapidamente in un leader solitario», scrive.
Eppure, il problema non è affatto nuovo. Meglio un governo senza stampa o una stampa senza governo? Se lo chiese già Benjamin Franklin. E la risposta gli parve scontata: meglio la seconda ipotesi.
@mdemarco55
Il liceo Raffaele Piria di Rosarno è un luogo di confine. Dove «i figli delle vittime devono davvero condividere, dentro lo spazio di pochi metri, tempo, energia, progetti, presente, e soprattutto futuro, con i figli degli assassini». Ed è in questa scuola nella Piana di Gioia Tauro — culla di dinastie che hanno reso la ’ndrangheta una potenza criminale ben oltre i confini della Calabria — che Serena Uccello, giornalista del «Sole 24 Ore», ha scelto di esplorare il limbo in cui «non esistono i figli dei mafiosi, i figli dei primari, ma esistono i ragazzi, tutti uguali, con gli stessi diritti e gli stessi doveri», come spiega la preside Maria Rosaria Russo, perché in questo avamposto dello Stato la scelta è stata quella «di non avere pregiudizi, di abbattere lo status sociale di ciascuno».
Il libro Generazione Rosarno (Melampo Editore racconta questo viaggio lungo il confine tra destini che sembrano segnati, ma che la scuola tenta di riscrivere. E i risultati si vedono. Durante i sette incontri con i ragazzi del Piria, la cronista raccoglie parole importanti. Sui registri di classe figurano cognomi che hanno un peso nella geopolitica ’ndranghetista — Pesce, Bellocco, Molè —, ma sono proprio quegli adolescenti a dichiarare che «non è il cognome che fa la persona». E i loro compagni confermano: «Noi, proprio in questa scuola, abbiamo avuto degli esempi con dei ragazzi… che avevano cognomi ingombranti, che non hanno seguito le orme del padre o dei familiari, grazie appunto all’aiuto della scuola». E infatti la ’ndrangheta ha ritenuto opportuno mandi dare messaggi minatori alla preside che spezza l’ordine costituito. Ma i ragazzi e qualche madre si sono convinti che, tutto sommato, convenga appoggiare, o almeno accettare questa piccola rivoluzione. La conferma è nelle parole degli studenti: «Quello che noi facciamo è studiare, facciamo i nostri progetti… che poi in questo modo con la cultura combattiamo la mafia perfetto… è che noi facciamo semplicemente il nostro lavoro di studenti, ed è la cosa migliore».
Ma come si discute di mafia in una terra di mafia? Lo spiegano i ragazzini. Pietro, quando dice «se dobbiamo parlare di noi... non è che ti veniamo a parlare della ’ndrangheta». Mariarosa che parla del suo sogno: «L’istruzione, la scuola, continuare gli studi, costruire una famiglia, vivere nell’onestà, fare le cose normali».