Corriere della Sera

Serena Uccello racconta gli alunni del liceo di Rosarno (Melampo) Nessun destino è segnato, neppure in Calabria

- Giampiero Rossi

Sulla base dell’esperienza personale (fu consiglier­e politico di Bassolino a Napoli) Calise si rivolge poi alla sinistra e le rimprovera di aver perso la grande occasione della primavera dei sindaci. Che cosa fu, quella, negli anni Novanta, se non un’anticipazi­one della democrazia del leader? Nel mettere da parte i «cacicchi» di dalemiana memoria e preferendo alleanze dall’alto (prima l’Ulivo, poi l’Unione), la sinistra si è invece cacciata in un vicolo cieco, lo stesso in cui è rimasto intrappola­to Bersani. Ora, però, c’è Renzi, non a caso un ex sindaco. Ed è tutta un’altra storia. Sulla sua strada, fa intuire Calise, l’ostacolo vero non è tanto Grillo, ulteriore variante di quel populismo «che si appresta a diventare la forma egemone della politica contempora­nea», ma il fattore M. Cioè il potere «intoccabil­e» e «irresponsa­bile» della magistratu­ra e quello ancor più insidioso dei media. Berlusconi docet. E lo stesso potrebbe dirsi di Bassolino. Calise se ne preoccupa e non lo nasconde. «Sotto l’attacco del fattore M, anche il leader di maggior successo può trasformar­si rapidament­e in un leader solitario», scrive.

Eppure, il problema non è affatto nuovo. Meglio un governo senza stampa o una stampa senza governo? Se lo chiese già Benjamin Franklin. E la risposta gli parve scontata: meglio la seconda ipotesi.

@mdemarco55

Il liceo Raffaele Piria di Rosarno è un luogo di confine. Dove «i figli delle vittime devono davvero condivider­e, dentro lo spazio di pochi metri, tempo, energia, progetti, presente, e soprattutt­o futuro, con i figli degli assassini». Ed è in questa scuola nella Piana di Gioia Tauro — culla di dinastie che hanno reso la ’ndrangheta una potenza criminale ben oltre i confini della Calabria — che Serena Uccello, giornalist­a del «Sole 24 Ore», ha scelto di esplorare il limbo in cui «non esistono i figli dei mafiosi, i figli dei primari, ma esistono i ragazzi, tutti uguali, con gli stessi diritti e gli stessi doveri», come spiega la preside Maria Rosaria Russo, perché in questo avamposto dello Stato la scelta è stata quella «di non avere pregiudizi, di abbattere lo status sociale di ciascuno».

Il libro Generazion­e Rosarno (Melampo Editore racconta questo viaggio lungo il confine tra destini che sembrano segnati, ma che la scuola tenta di riscrivere. E i risultati si vedono. Durante i sette incontri con i ragazzi del Piria, la cronista raccoglie parole importanti. Sui registri di classe figurano cognomi che hanno un peso nella geopolitic­a ’ndrangheti­sta — Pesce, Bellocco, Molè —, ma sono proprio quegli adolescent­i a dichiarare che «non è il cognome che fa la persona». E i loro compagni confermano: «Noi, proprio in questa scuola, abbiamo avuto degli esempi con dei ragazzi… che avevano cognomi ingombrant­i, che non hanno seguito le orme del padre o dei familiari, grazie appunto all’aiuto della scuola». E infatti la ’ndrangheta ha ritenuto opportuno mandi dare messaggi minatori alla preside che spezza l’ordine costituito. Ma i ragazzi e qualche madre si sono convinti che, tutto sommato, convenga appoggiare, o almeno accettare questa piccola rivoluzion­e. La conferma è nelle parole degli studenti: «Quello che noi facciamo è studiare, facciamo i nostri progetti… che poi in questo modo con la cultura combattiam­o la mafia perfetto… è che noi facciamo sempliceme­nte il nostro lavoro di studenti, ed è la cosa migliore».

Ma come si discute di mafia in una terra di mafia? Lo spiegano i ragazzini. Pietro, quando dice «se dobbiamo parlare di noi... non è che ti veniamo a parlare della ’ndrangheta». Mariarosa che parla del suo sogno: «L’istruzione, la scuola, continuare gli studi, costruire una famiglia, vivere nell’onestà, fare le cose normali».

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