Un eroe dimenticato
Su Raiuno «Io non mi arrendo», la fiction sulla vita di un poliziotto caparbio ucciso dalla leucemia La vita dell’agente che indagò sulla Terra dei fuochi Beppe Fiorello: Roberto Mancini, martire poco noto Ma è stato un esempio di legalità e di onestà civ
Spero che il tempo, anche grazie al nostro film, gli assicuri il suo doveroso posto nella memoria e nella coscienza degli italiani
«Roberto Mancini è un eroe del nostro Paese, un martire civile collocato sullo stesso mio Olimpo personale degli altri grandi italiani che ho avuto la fortuna di interpretare: Salvo D’Acquisto, Paolo Borsellino, come si vedrà tra poco nel film Era d’estate di Fiorella Infascelli, il racconto dell’estate obbligata all’Asinara che il giudice dovette trascorrere per motivi di sicurezza con Giovanni Falcone. Roberto Mancini è purtroppo meno noto, più appartato. Ma spero che il tempo, anche grazie al nostro film, gli assicuri il suo doveroso posto nell’attenzione, nella memoria, nella coscienza collettiva degli italiani. Perché è una straordinaria bandiera della legalità e dell’onestà civile», spiega Beppe Fiorello che da sempre si immedesima nelle vite dei suoi personaggi. Quando vestì i panni di Domenico Modugno, approdò a un’impressionante identificazione.
Ma stavolta è diverso. Il 15 e il 16 febbraio su Raiuno, in prima serata, in Io non mi arrendo, una coproduzione Rai Fiction-Picomedia per la regia di Enzo Monteleone, sarà Roberto Mancini, il primo poliziotto che dall’inizio degli anni 90 indagò sulla Terra dei Fuochi, tra Napoli e Caserta, scoprendo tutte le tracce dell’interramento dei rifiuti tossici nei terreni, in mezzo a mille intralci e sabotaggi che portarono all’insabbiamento delle sue informative già nel 1996.
Beppe Fiorello ha partecipato alla sceneggiatura perché ha profondamente studiato la vita di Mancini, dalle sue caparbie indagini fino alla morte per leucemia il 30 aprile 2014, diretta conseguenza del lavoro sul territorio avvelenato. Ha conosciuto la madre del poliziotto, sua moglie e sua figlia. Dialoghi intensi: «La madre è ancora arrabbiata e offesa per il trattamento riservato da tanti uomini pubblici a suo figlio, perché lo hanno prima ostacolato e poi dimenticato. Ha ragione».
Beppe Fiorello assicura di essere uscito dall’interpretazione profondamente cambiato: «È naturale che sia così. Roberto Mancini è uno di quegli uomini dello Stato consapevoli della propria fine ma che decidono di continuare nel loro tragitto per consegnare un’Italia migliore ai figli di tutti gli italiani. Il nostro mestiere non può e non deve essere solo intrattenimento. Penso che abbiamo il dovere di raccontare al grande pubblico verità scomode, capitoli amari della nostra storia».
Il racconto partirà dai primi anni del lavoro investigativo di Roberto Mancini, che nella fiction porta il nome di fantasia di Marco Giordano: «Mancini operò in pieno isolamento. Nonostante le sue scoperte investigative, si ritrovò senza mezzi operativi: gli negarono persino le ruspe per scavare. Cominciò a farlo da solo, con una foga disperata, pur di far emergere una verità poi venne nascosta e colpevolmente archiviata. Fu lì che contrasse la sua malattia».
Anni di dure e solitarie fatiche. Poi l’abbandono del campo, il trasferimento al commissariato di San Lorenzo a Roma, la scoperta della leucemia. E l’improvvisa riapertura delle indagini da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli che finalmente utilizzò le sue intuizioni ma non i 70 faldoni, in gran parte spariti.
Fece appena in tempo a ricostruire le indagini e a vedere, dopo 11 anni di malattia e prima della morte, l’arresto del boss del traffico illecito di rifiuti tossici. Beppe Fiorello firma un chiaro atto di accusa: «Mancini è stato prima ostacolato e poi ucciso dall’indifferenza, dalla connivenza, dall’omertà degli uomini senza anima delle ecomafie e dei loro complici. Ora si scopre con amarezza che le terre del fuoco sono ovunque perché in mezza Italia sono stati occultati i rifiuti tossici: al Nord, al Centro, ovviamente giù al Sud. Se sono stati trovati, si deve a Mancini, che ha cominciato tutto».
E qui Beppe Fiorello diventa «politicamente scorretto», abbandona ogni diplomazia: «I responsabili del disastro che sta divorando la terra, l’acqua e l’aria in tante parti d’Italia sono più pericolosi dei terroristi. Persino l’ideologia più selvaggia cita un ideale, magari il più crudele e insensato. Ma certa gente non ha nulla, nel cuore e nella testa. Qualcuno non capirà ciò che sto dicendo: ma la vendetta più amara per certi crimini è che tanti boss delle ecomafie hanno mogli, madri o figli ammalati di cancro e di leucemia. Hanno avvelenato il loro stesso sangue: è il devastante prezzo che ora devono pagare».