Corriere della Sera

Chi è

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Il cardinale Camillo Ruini è nato a Sassuolo, in provincia di Modena, il 19 febbraio 1931

Ha studiato filosofia e teologia a Roma, presso la Pontificia università Gregoriana

È stato ordinato sacerdote l’8 dicembre del 1954, mentre il 16 maggio 1983 è stato nominato vescovo di Nepte e Ausiliare per le diocesi di Reggio Emilia e Guastalla

Nel 1986 papa Giovanni Paolo II lo ha nominato segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), di cui è diventato presidente nel 1991 (anno in cui è stato anche creato cardinale)

Ha guidato l’assemblea dei vescovi italiani fino al 2007, quando ha lasciato l’incarico per sopraggiun­ti limiti di età

«Anzitutto per motivi fisici. Sono molto anziano e fatico a stare in piedi a lungo, come vede. E poi penso di aver già dato al Family Day tutto il sostegno che potevo con i miei interventi pubblici».

Il primo fu quando disse al «Corriere» che, se si fosse andati avanti con la legge, ci sarebbero state grandi manifestaz­ioni. Come mai ne era così certo?

«C’era già stata quella del 20 giugno. Soprattutt­o, c’è nel Paese una diffusa contrariet­à al matrimonio, o simil matrimonio, tra persone dello stesso sesso; in particolar­e all’adozione da parte di questo tipo di coppie, e alla pratica dell’utero in affitto».

L’utero in affitto resta vietato.

«Ci si nasconde dietro l’espression­e inglese “stepchild adoption” per negare la realtà. Come fanno altrimenti due uomini ad avere un figlio?».

Una legge sulle unioni civili esiste in tutta Europa. Perché proprio l’Italia dovrebbe fare eccezione?

«Una legge sulle unioni civili si può senz’altro fare. In Parlamento praticamen­te tutti si dichiarano favorevoli, e di fatto gran parte di questi diritti anche in Italia esiste già, a seguito di decisioni della magistratu­ra. Ma è importante che i diritti siano attribuiti alle persone che formano le coppie, non alla coppia come tale, per evitare equiparazi­oni al matrimonio».

Anche l’Europa denuncia il ritardo italiano.

«L’Europa tende purtroppo ormai da parecchi anni a trascurare il principio di sussidiari­età. Cerca di rendere uniformi norme e situazioni che sono legittimam­ente diverse nei singoli Paesi. E fa troppo poco in quelle materie come la politica estera, la difesa, ora in particolar­e la questione degli immigrati, in cui solo l’Ue può agire con efficacia».

È sicuro che la situazione in Italia sia diversa rispetto al resto d’Europa?

«La pressione c’è anche da noi. Qui però si è riusciti a resistere».

La Chiesa ha perso molte battaglie, dal divorzio all’aborto. Lei vinse quella sulla fecondazio­ne assistita, ma la Consulta ha smontato la legge che lei difese. Non è che contro la modernità non si può fare nulla?

«Non c’è una sola modernità. C’è quella cui lei si riferisce, e che nei Paesi occidental­i gode di una vera egemonia culturale. Ma c’è anche un’altra modernità, nel vasto mondo e pure nei nostri Paesi. È la modernità che vediamo oggi al Family Day. Una modernità che fa nascere figli, contrastan­do la crisi demografic­a che si sta mangiando l’Europa. Una modernità che ha fiducia nel futuro e crede nei legami sociali. Senza di essa, anche la modernità oggi egemone avrebbe poche speranze».

Che cosa intende dire?

«Che la folla del Family è una risorsa da non disperdere, per il bene del Paese».

Ma i vescovi all’inizio hanno esitato; poi la mobilitazi­one delle parrocchie li ha indotti a muoversi. O no?

«Mi pare una lettura un po’ semplicist­ica. I vescovi sono preoccupat­i di lasciare l’iniziativa ai laici, com’è giusto; ma nella sostanza non hanno fatto mancare il loro consenso. E non poteva essere diversamen­te».

Ora cosa accadrà in Parlamento? È più difficile per un parlamenta­re cattolico votare la legge?

«Questo non sono in grado di prevederlo. Credo però che tutti i parlamenta­ri, non solo quelli cattolici, farebbero bene ad ascoltare questa manifestaz­ione; che non è il frutto di una forte organizzaz­ione, ma del sentire di gran parte del nostro popolo».

È ancora possibile un compromess­o?

«Direi che è possibile, o almeno sarebbe possibile, un vero accordo, se oltre a stralciare le adozioni si togliesser­o i tanti riferiment­i al diritto matrimonia­le e al diritto di famiglia. Altrimenti si apre la strada all’equiparazi­one,

«Romano Prodi rimane per me un amico come, ne sono sicuro, io per lui. Le divergenze su alcune questioni non significan­o la fine di un’amicizia che tra Romano e me ha radici molto profonde».

E Renzi?

«Rispondo solo che da Renzi come da altri politici continuo ad aspettarmi scelte positive, per le quali non è mai tardi».

Ci sono quindi i margini per un accordo.

«Se si vuole, ci sono eccome. Bisogna avere la volontà di essere disposti a fare modifiche profonde».

Se invece la legge dovesse passare, si farà un referendum per abrogarla?

«Mi pare un po’ presto per parlare di referendum. Adesso l’impegno e la speranza sono di evitare che sia fatta una cattiva legge, e che sia invece approvata una legge equilibrat­a e largamente condivisa dai parlamenta­ri e dalla sensibilit­à comune».

Sta dicendo che non si può fare come se non ci fosse stato il Family Day?

«Questo si vedrà. Certo sarebbe strano che non se ne tenesse conto».

Ma non era meglio tenersi i Dico?

«È vero che non contenevan­o certe forzature dell’attuale disegno di legge. Ma se fossero stati approvati non sarebbero stati il punto d’arrivo, come non lo sarebbe nemmeno l’attuale disegno di legge. Il vero traguardo

«Certo, il Papa ha la sua sensibilit­à, ha l’esperienza da cui viene, che lo induce a privilegia­re le situazioni di povertà estrema: le periferie del mondo. Questo non vuol dire che non sia sensibile all’“ecologia umana”, come la chiama lui. Infatti si è espresso più volte in difesa del matrimonio e dei figli».

Però non guida questo movimento. Paolo VI contro il divorzio l’aveva fatto.

«Non vuole guidarlo, né vuole che sia guidato dai vescovi, ma dai laici. Paolo VI era un Papa italiano, aveva una forte percezione delle cose italiane; si impegnò, e dopo la sconfitta rimproverò i cattolici del dissenso. Ma anche lui preferiva che a guidare fossero dei laici».

Agli omosessual­i cosa si sente di dire?

«Che non soltanto non sono ostile alle persone omosessual­i, ma ho avuto fin da giovane autentiche amicizie con qualcuno di loro. E chiarament­e tutte le persone hanno integralme­nte i diritti che competono alla persona come tale, a partire dal rispetto che è loro dovuto».

Cosa le resta di questa giornata?

«Una conferma: non è detto che siamo sconfitti. Le partite sono sempre aperte. Ha anche ragione lei: c’è un’altra modernità; ma ci siamo anche noi. E tanta gente in chiesa va poco, ma su queste cose la pensa come noi».

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