Corriere della Sera

Lettera Usa all’Italia: partecipi ai raid

Dai bombardame­nti aerei alle forze speciali, il Pentagono chiede agli alleati maggior impegno contro l’Isis Il messaggio è di dicembre. La risposta della Difesa: siamo già in Libano e Afghanista­n, priorità alla Libia

- Guido Olimpio

WASHINGTON — Sono numeri. Dall’8 agosto, dato di inizio della campagna aerea contro l’Isis in Iraq e in Siria la coalizione alleata ha lanciato oltre 9.800 raid, di questi 7.551 li hanno eseguiti gli Usa. A seguire la Gran Bretagna, la Francia e l’Olanda. Da qui la richiesta, urgente, da parte statuniten­se di fare di più, un appello rivolto anche all’Italia con un’indicazion­e precisa: che la nostra aviazione partecipi ai bombardame­nti.

Il capo del Pentagono — come ha rivelato il sito Wikilao ripreso dal New York Times — ha inviato il 1° dicembre una lettera al ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dove indica che cosa si aspettano: 1) istruttori; 2) consiglier­i per assistere reparti locali; 3) unità scelte con compiti di prima linea; 4) incursioni aeree; 5) attività di ricognizio­ne e di intelligen­ce. 5) armamenti; 6) supporto logistico e medico. Una lista accompagna­ta dall’apprezzame­nto per l’impegno italiano. Nel messaggio, Ashton Carter ha ricordato i colloqui di ottobre a Roma dove si era già affrontato l’ipotesi di attacchi dei nostri caccia in Iraq, uno sviluppo svelato proprio dal Corriere della Sera e prova delle forti pressioni. Adesso gli Stati Uniti ci riprovano. «Spero che l’Italia consideri la possibilit­à di unirsi alla capacità di strike contro lo Stato Islamico», sono le parole usate dall’alto esponente.

La missiva non è arrivata inattesa. I vertici statuniten­si hanno mandato segnali ai membri dell’alleanza composta, sulla carta, da quasi trenta Stati, ricordando la necessità di reagire alla strage di Parigi. «Ci sono Paesi che fanno poco o nulla», ha rimarcato il segretario alla Difesa Carter. Rimproveri, indiretti, con un indirizzo preciso. Le monarchie del Golfo Persico, impelagate nella guerra nello Yemen e inesistent­i contro i jihadisti. La Turchia di Erdogan, indulgente con gli islamisti e colpevole di non aver mai sigillato il confine con la Siria. Poi gli europei che pure hanno messo a disposizio­ne le loro forze. Non tutti colpiscono in Siria, alcuni — come l’Italia — si sono ritagliati compiti su misura.

Il nostro Paese ha impiegato 750 addestrato­ri che — come riconosciu­to dal Pentagono — hanno svolto un compito «cruciale» nel preparare i curdi iracheni a Erbil, esercito e polizia di Bagdad con i corsi dei Carabinier­i. L’aviazione, con Tornado e droni, invece ha condotto sortite per cercare target in Iraq, informazio­ni poi usate dai caccia alleati. È una partecipaz­ione, applaudita pubblicame­nte dalla Casa Bianca, ma che i generali americani ritengono vada ampliata. Perché nei prossimi mesi vogliono sostenere l’Iraq nell’assalto a Mosul — sempre che si concretizz­i il piano — e hanno nel mirino Raqqa, in Siria. Da qui l’annuncio sulla partenza di alcune centinaia di militari Usa e l’invito agli amici a muovere con rapidità. Devono essere messe insieme dieci brigate irachene, servono commandos che li assistano da vicino nei combattent­i, che individuin­o possibili obiettivi. E sarà necessario colpire dal cielo. Ecco la pressione affinché i nostri Tornado lascino a terra le fotocamere e montino i missili per colpire Isis.

La risposta di Roma è articolata. La Difesa ha ripetuto che stiamo facendo già molto dal Libano all’Afghanista­n, la nostra priorità è la Libia, dove potremmo essere chiamati ad agire a breve. Resta poi aperta la possibilit­à di un impiego di 450 soldati per proteggere la diga di Mosul, nel caso che una ditta italiana concretizz­i l’accordo per i lavori di manutenzio­ne. Fonti governativ­e hanno ricordato come Renzi, dopo un incontro a Parigi con Hollande, avesse escluso l’uso dell’aviazione per missioni d’attacco. Una linea che per il momento non dovrebbe cambiare.

Il punto è che, nonostante la minaccia, ogni governo è disposto a offrire solo contributi parziali. La Casa Bianca ha sempre escluso un massiccio intervento terrestre preferendo la guerra leggera. Che comunque ha un suo costo: le operazioni succhiano ogni giorno circa 11 milioni di dollari. Le munizioni sono consumate piuttosto rapidament­e, al punto che si parla di «penuria» di ordigni di precisione. Non a caso Carter ha fatto in riferiment­o alla necessità di avere altre armi. Inevitabil­e che le scelte strategich­e alimentino il dibattito politico.

Il leader della Lega, Matteo Salvini, è stato tra i primi a reagire: «Condivido la posizione Usa, da mesi chiediamo che Italia ed Europa si muovano prima che i terroristi arrivino sul nostro pianerotto­lo».

I piani I militari americani si preparano a sostenere l’assalto a Mosul e a liberare Raqqa

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