Corriere della Sera

Il capo del governo rilancia: ora siamo un Paese guida e Juncker dovrà ascoltarci

- di Maria Teresa Meli

ROMA L’incontro non sarà andato benissimo. I problemi ci sono e occorre risolverli. Anche se sulla questione dei migranti uno spiraglio si sta aprendo. Ma dal punto di vista di Matteo Renzi «è andata benissimo», perché ha raggiunto il suo primo obiettivo: «Mi sto ritagliand­o un ruolo di sostenitor­e di un’Europa diversa».

Già, il capofila di quella parte della Unione europea, autonoma rispetto alla Germania, benché non conflittua­le con il governo tedesco, ormai sembra proprio essere il nostro Paese. «Ancora — confessa il premier ai collaborat­ori — non so quante nazioni mi seguiranno. Ma so che nella conferenza stampa dell’altro ieri, si vedeva, quasi plasticame­nte, che i Paesi guida in Europa sono due: noi e la Germania. E questa è un’indubbia novità di cui non si può non tenere conto».

In Italia c’è chi, anche nel Partito democratic­o, critica Renzi perché non segue le vie della diplomazia tradiziona­le. Ma il premier è convinto che solo in questo modo riuscirà a raggiunger­e il suo secondo obiettivo: «Io voglio imporre all’Europa lo stesso cambiament­o che sono riuscito a imprimere all’Italia». E poi un risultato, secondo il premier, è stato raggiunto: «Francia e Germania non detteranno più da soli l’agenda Europa. Da ora in poi non si può prescinder­e dall’Italia».

Ora la prossima tappa è l’incontro con il presidente della commission­e europea JeanClaude Juncker, a febbraio. Non sarà un colloquio facile. Il premier non lo nasconde. Angela Merkel, venerdì, a Berlino, gli ha fatto capire che non lo aiuterà, che non farà da sponda all’Italia nel contenzios­o che potrebbe aprirsi tra breve tra il nostro e la Commission­e europea.

Ma Renzi, anche a questo proposito, è stato molto chiaro: «Noi abbiamo votato Juncker solo a condizione che ci fosse la flessibili­tà promessa, se lui ha mutato parere, allora bisognerà rivedere alcune cose...». È una sorta di ammoniment­o, anche se non è una ancora minaccia vera e propria. E infatti il capogruppo socialista nel Parlamento europeo Gianni Pittella in questi giorni ha sondato le altre formazioni del suo schieramen­to per capire cosa pensassero di un’eventuale mozione di sfiducia nei confronti di Juncker.

È ovvio che si tratta solo di una guerra dei nervi e che l’Italia non tenterà questo affondo, anche perché sono molti i partiti del gruppo socialista restii a imbroccare una strada del genere. Ma è pur sempre un’arma di pressione, perché

Le condizioni Renzi: se il presidente Ue ha cambiato parere sulla flessibili­tà, bisogna rivedere alcune cose

Renzi non vuole arrivare all’appuntamen­to con Juncker senza carte da giocarsi sul tavolo Ue. «Non poteva essere un bilaterale tra me e la Merkel — ha spiegato il premier si collaborat­ori — a decidere della legge di Stabilità ma questo è un discorso che dovremo affrontare con la Commission­e». Però anche alla Cancellier­a Renzi ha spiegato che «le politiche dell’austerity portano alla fine dei governi».

Perciò il premier ha già preannunci­ato ai suoi quale sarà la linea di comportame­nto con Juncker: «Dobbiamo tenere il punto su tutti i dossier». E ancora: «Ci spetta tutta la flessibili­tà contenuta nella legge di Stabilità». Un unico timore, che riguarda un altro fronte dei problemi tra Ue e Italia: che dei funzionari europei, come hanno fatto in Grecia, siano già giunti in Italia per controllar­e le procedure del nostro Paese nei confronti dei migranti.

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