Il segreto di Mafia Capitale «Quel patto criminale tra Buzzi e Carminati che va oltre la corruzione»
«Relegare i fatti in una cornice di corruzione sistemica ed endemica è prospettazione riduttiva», scrive la giudice Anna Criscuolo nella sua sentenza. Perché «se la corruzione è metodo di lavoro abituale di Salvatore Buzzi sul fronte politico e amministrativo, è l’alleanza e la sinergia tra il Buzzi e Massimo Carminati a rivelare la potenza e la forza di penetrazione dell’associazione, che assicura il dominio negli appalti pubblici che il metodo corruttivo, da solo, non avrebbe assicurato».
Ecco dunque che nel primo verdetto di merito su Mafia capitale (quella del giudizio abbreviato in cui è stato condannato Emilio Gammuto, ex collaboratore di Buzzi, per il reato di corruzione aggravata dal favoreggiamento all’associazione mafiosa) si riconosce che quell’organizzazione aveva tutte le caratteristiche previste dall’articolo 416 bis del codice penale. Con una motivazione che rovescia la prospettiva delle difese, a cominciare da quelle degli imputati principali, presunti promotori e capi della banda, che puntano le loro carte sul ricondurre tutto a una vicenda di corruzione semplice. Un «processetto», come ebbe a dire fin dalla prima udienza l’avvocato di Carminati, Bruno Naso; seguito a ruota da Buzzi e dal suo legale, che ammettono le bustarelle allungate a funzionari e politici per far lavorare le cooperative sociali, rigettando l’idea dell’associazione mafiosa.
Tuttavia, sostiene la giudice per argomentare la propria decisione, «se Buzzi con le sue sole forze, i suoi appoggi politici e l’abituale metodica corruttiva aveva già raggiunto un notevole livello economicooperativo, conquistandosi ampi spazi e margini di fiducia dell’amministrazione comunque nel corso delle stagioni precedenti, alleandosi con Carminati raggiunge l’apice e si espande senza rischi di intralcio, tant’è che il fatturato del gruppo lievita incredibilmente da 16 a 60 milioni di euro nell’arco di soli tre anni».
Il salto di qualità evidenziato dalla sentenza — che è solo di primo grado, ci sarà l’appello e altre ne verranno, compresa quella del maxiprocesso in corso nell’aula bunker di Rebibbia — è proprio lì: l’unione tra Buzzi con Carminati che «immette capitali illeciti nelle cooperative del socio» e contemporaneamente diventa «capo indiscusso» e porta con sé il «potere intimidatorio»; derivante, fra l’altro, dalla propria «caratura e prestigio criminale». In questo modo il « vincolo associativo » , con Buzzi e altri complici, si realizza e utilizza la corruzione come uno degli strumenti per imporre «assoggettamento e omertà».
Secondo la giudice «il binomio è perfetto e destinato a durare in eterno perché insospettabile alleanza trasversale: ciascun socio apporta nella società il proprio capitale, non solo economico, ma il proprio passato, la propria storia, il proprio peso e le proprie relazioni consolidate (favorito da congiunture propizie e da un panorama politico-amministrativo permeabilissimo, disponibile e complice) assalta la pubblica amministrazione, condizionandone le decisioni, decidendo le nomine politiche e dei vertici amministrativi nei settori di interesse». Da una parte c’è «Buzzi che continua a offrire servizi e partecipa alle gare con il suo gruppo di cooperative»; dall’altro Carminati che, muovendosi in modo
Il boom «Dopo l’alleanza il fatturato delle società passò in soli tre anni da 16 a 60 milioni di euro»
occulto, «garantisce l’intervento dei suoi amici e sodali per risolvere problemi e rimuovere ostacoli». Anche nei «ruoli chiave dell’apparato comunale e delle principali municipalizzate».
Da questo groviglio emerge l’associazione mafiosa contestata dall’accusa, negata dagli imputati e ora confermata da
un giudice di merito. Ma al di là degli aspetti giuridici, la vicenda di Mafia capitale pone altre questioni, messe in luce all’inaugurazione dell’anno giudiziario dal procuratore generale di Roma, Giovanni Salvi. Per il quale «l’elemento più caratteristico dell’organizzazione è costituito da soggetti provenienti da trascorsi politici opposti», cioè estrema destra ( Carminati) e sinistra (Buzzi). Insieme alla capacità di condizionare entrambe le ultime due Giunte capitoline, sia pure con forme e gradi differenti. Sempre grazie alla corruzione. Incrinando così «la tenuta del tessuto amministrativo, prima ancora che politico della città».
Si chiede il procuratore generale: «Quali anticorpi non hanno funzionato se è stata possibile una così pervasiva influenza sull’amministrazione locale, continuata anche dopo il mutamento di compagine politica?». La risposta spetta, aggiunge Salvi, chi ha governato la città e chi intende governarla; cioè quanti si candideranno alle prossime elezioni comunali.