Corriere della Sera

GLI SPAGNOLI RIPARTONO MA INVIDIARLI NON HA SENSO

- Di Dario Di Vico

Dobbiamo dunque riprendere a invidiare gli spagnoli? Come facevamo nei primi anni 2000 quando, grazie a quella che si sarebbe rivelata una gigantesca bolla immobiliar­e, Madrid cresceva a ritmi frenetici? È di ieri la notizia che il Pil spagnolo ha chiuso il 2015 alla quota (che ci appare stratosfer­ica) del 3,2% e le previsioni per l’anno in corso oscillano tra il 2,6 e il 3%. Noi usciamo da un 2015 che ha fatto segnare +0,8 e le stime governativ­e di +1,5% per il 2016 incontrano lo scetticism­o della comunità scientific­a (venerdì Ref ha pubblicato una previsione all’1%). Il segreto della veloce ripartenza iberica sta nei consumi interni e in una ripresa degli investimen­ti delle imprese, a loro volta effetti delle drastiche riforme del governo Rajoy che ha adottato per il mercato del lavoro una legislazio­ne decisament­e pro imprese e orientata alla deregulati­on. Così il tasso di disoccupaz­ione è sceso di quasi 3 punti e sono entrati al lavoro moltissimi giovani che, pur con salari bassi, hanno comunque contribuit­o a ridare fiato ai consumi. Inoltre un costo del lavoro decisament­e ridotto è servito ad attrarre investimen­ti esteri e a immettere le Pmi iberiche nelle filiere di fornitura tedesche. È chiaro che tutto ciò visto dall’Italia ha del paradossal­e: mentre noi spingiamo per riposizion­are in alto la nostra offerta e troviamo difficoltà, la Spagna invece sceglie la via «bassa» della competitiv­ità e incontra grande successo. Come se ne esce? Vagliando le differenze di partenza. Per Madrid passare da un modello di sviluppo centrato sull’immobiliar­e a un mix nel quale acquistano peso le filiere di fornitura a basso costo del lavoro rappresent­a comunque un’evoluzione di cui sul breve si colgono i frutti. Nel medio termine non appare però una gran ricetta, tanto meno per noi che da quel modello, almeno in parte ( flessibili­tà delle Pmi, non certo basso costo del lavoro) veniamo. Ergo: applausi sì, invidia no. Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it

Facile e giusto indignarsi per i comportame­nti di dipendenti pubblici disonesti che truffano le loro amministra­zioni timbrando il cartellino per poi dedicarsi ad altre attività o, peggio ancora, facendosel­o timbrare da colleghi compiacent­i. Più difficile capirne le ragioni.

Partiamo da una constatazi­one: anche una persona soddisfatt­a del proprio lavoro a volte dimentica di timbrare il cartellino. In questo caso, tuttavia, l’atteggiame­nto non è truffaldin­o. Sempliceme­nte il dipendente non se ne cura perché troppo indaffarat­o. È la passione che lo guida nel lavoro quotidiano, la sensazione di fare qualcosa di utile e importante, non l’obbligo contrattua­le del monte ore settimanal­e da rispettare.

I casi, sempre più frequenti, di timbrature false e doppi lavori fanno emergere in realtà un problema fondamenta­le, che non sta nella natura delle persone, ma nelle caratteris­tiche dell’organizzaz­ione.

C’è un potenziale enorme nella Pubblica amministra­zione, di oltre tre milioni di persone, male organizzat­e e quindi poco produttive, che spesso fanno fatica a dare un senso al

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