Corriere della Sera

SERVE UN PROGRAMMA PIÙ AMBIZIOSO PER SPUNTARLA SULLA

FLESSIBILI­TÀ

- Di Maurizio Ferrera SEGUE DALLA PRIMA

Il ciclo economico del nostro Paese era inoltre ancora molto negativo. Uno scostament­o dagli obiettivi di finanza pubblica precedente­mente concordati fu dunque ritenuto ammissibil­e in base ai nuovi criteri. Nell’autunno scorso è iniziata la terza battaglia. Il governo ha di nuovo invocato la flessibili­tà, in base alla clausola degli investimen­ti. Ha poi aggiunto due altre richieste: lo scorporo delle spese sostenute per l’emergenza migratoria e di quelle pro quota per gli aiuti alla Turchia (i tre miliardi complessiv­i promessi da Angela Merkel a Erdogan per contenere il flusso di rifugiati). Il tiro alla fune è ancora in corso. La Commission­e ha per ora sospeso il giudizio sulla legge di Stabilità 2016 e venerdì a Berlino Angela Merkel ha detto che «non vuole immischiar­si». Un modo indiretto per dire: attenzione. La prospettiv­a di una nostra sconfitta, anche solo parziale, va messa in conto.

La vera posta in gioco non è però l’esito di questa terza disputa, ma dell’intera partita sulla flessibili­tà e l’eurogovern­o. L’interesse dell’Italia (e di tutti i Paesi membri più deboli) si estende ben al di là del 2016 e di alcuni punti di decimale da spendere in deficit. Bisogna piuttosto consolidar­e l’idea che l’eurozona non si gestisce con regole rigide e con formule numeriche largamente arbitrarie. L’Unione economica e monetaria richiede piuttosto istituzion­i decisional­i capaci di prendere provvedime­nti rapidi e imperniati su tre principi: discrezion­alità «per buone ragioni», flessibili­tà regolata e orientata alla crescita, responsabi­lità democratic­a. Da un lato, niente più dogmi tecnocrati­ci e letti di Procuste con misure uguali per tutti. Dall’altro lato, compiti a casa, senza opportunis­mi o rivendicaz­ioni motivate solo da tattiche elettorali.

La carta della flessibili­tà va insomma giocata come elemento di un’agenda più ampia sulla base di argomenti generali. È rispetto a questo obiettivo che Matteo Renzi ha sinora mostrato debolezza. Ad esempio, le richieste di deroga sui conti italiani sono state un po’ superficia­li e non adeguatame­nte giustifica­te (soprattutt­o in relazione all’ultima legge di Stabilità). Data la cattiva reputazion­e sul piano della politica di bilancio che ci portiamo dietro da decenni, come stupirsi se la Commission­e (e la Germania) si mostrano perplesse?

Se vuole vincere la partita, il governo deve accrescere l’intensità e soprattutt­o la qualità del proprio impegno. Qual è la visione italiana sulle riforme istituzion­ali che servono all’Unione economica e monetaria? Nell’entourage di Renzi e Padoan, così come in Banca d’Italia, circolano da tempo idee promettent­i: costruiamo una proposta articolata e coerente e sottoponia­mola ai nostri partner. Quali saranno, in secondo luogo, i contenuti del prossimo Programma Nazionale di Riforma da presentare a Bruxelles entro aprile, proprio quando la Commission­e deciderà sulle deroghe per il 2016? Il presidente del Consiglio ha detto che la legge di Stabilità per il 2017 darà il tono a tutta la legislatur­a (comprensib­ile: sarà l’ultimo macrointer­vento utile per incidere sulle condizioni del Paese prima delle elezioni del 2018). Bene, il governo elabori un programma ambizioso, davvero imperniato su riforme e investimen­ti. Si assicuri che venga recepito nelle raccomanda­zioni di giugno da parte della Ue e poi lo metta in pratica nel prossimo autunno. Se verranno fornite buone ragioni, Bruxelles dovrà concedere i necessari margini fiscali. E, per una volta, dall’Italia potrebbero arrivare idee ed esempi preziosi per tutta l’Europa.

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