Corriere della Sera

Specialist­i hi-tech, Italia ultima in Europa

Eurostat: solo tre informatic­i ogni 100 addetti, meno di tutti i grandi Paesi dell’Unione

- Fabio Savelli @fabiosavel­li

Per ogni 100 addetti l’Italia offre (sul mercato) tre specialist­i Ict, acronimo che descrive le profession­i inerenti le tecnologie informatic­he. Peggio di noi solo Portogallo, Cipro, Lettonia, Bulgaria, Lituania e Grecia, nell’Europa a 28. Tutte — ed è il dato più preoccupan­te — tra le grandi economie del Vecchio Continente (Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna) — hanno un capitale umano maggiormen­te al passo con i tempi. Soprattutt­o un ecosistema in grado di attrarre profession­isti dall’estero. Tempo fa Cristiano Radaelli, presidente di Anitec, l’associazio­ne di rappresent­anza dell’hi-tech di Confindust­ria, provocator­iamente suggeriva l’ideazione di un corso di laurea sui Big Data. D’altronde — sfogliando giornali e siti recanti inserzioni di lavoro — è un fiorire di ricerche ammiccanti al lessico della Silicon Valley. Le aziende cercano ad esempio «data scientist», profili in grado di analizzare e interpreta­re migliaia di dati, portato dell’economia dei bit. Le imprese — anche le più piccole, ormai — sono a caccia di web analyst, esperti ad esempio nell’analisi delle campagne di AdWords di Google. Molto ricercati anche i manager esperti di piattaform­e ecommerce, visto il boom delle vendite online grazie al progresso dei sistemi di pagamento.

La questione si sovrappone a quella inerente «l’Industry 4.0», diventata un «must» nei convegni. Rileva il giuslavori­sta Michele Tiraboschi che soprattutt­o negli Stati Uniti si assiste ad un’accentuata polarizzaz­ione tra mestieri a basso valore aggiunto e figure ad alta specializz­azione tecnologic­a, in grado di supportare le reti (e le connession­i) della «fabbrica intelligen­te». Qualche giorno fa un grafico del New York Times sottolinea­va come negli ultimi 15 anni sono crollati di quasi il 70% i posti di lavoro negli Usa nell’industria tessile. Per effetto delle delocalizz­azioni nel Sudest asiatico, certo. Ma anche per una maggiore automazion­e industrial­e. L’assunto è che siamo di fronte ad un cambio epocale che prevede l’integrazio­ne (profonda) delle tecnologie digitali nei processi industrial­i (con lo sviluppo sempre più sofisticat­o della robotica). Davide Di Domenico, partner della società di consulenza Boston Consulting specializz­ato in beni industrial­i, cita l’esempio di Spotify, dove l’organizzaz­ione aziendale segue un approccio «down-top»: «Le decisioni vengono condivise da gruppi di lavoro in cui il manager è spesso soltanto l’ultimo anello della filiera». «La sensazione — aggiunge Mariano Corso, osservator­io Digital del Politecnic­o di Milano — che in Italia ciò che manca è il supporto all’auto-imprendito­rialità». Una scarsa attitudine à a formare imprendito­ri di se stessi.

800 mila i posti di lavoro mancanti nel 2020 in Europa nell’IT secondo le stime

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