Specialisti hi-tech, Italia ultima in Europa
Eurostat: solo tre informatici ogni 100 addetti, meno di tutti i grandi Paesi dell’Unione
Per ogni 100 addetti l’Italia offre (sul mercato) tre specialisti Ict, acronimo che descrive le professioni inerenti le tecnologie informatiche. Peggio di noi solo Portogallo, Cipro, Lettonia, Bulgaria, Lituania e Grecia, nell’Europa a 28. Tutte — ed è il dato più preoccupante — tra le grandi economie del Vecchio Continente (Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna) — hanno un capitale umano maggiormente al passo con i tempi. Soprattutto un ecosistema in grado di attrarre professionisti dall’estero. Tempo fa Cristiano Radaelli, presidente di Anitec, l’associazione di rappresentanza dell’hi-tech di Confindustria, provocatoriamente suggeriva l’ideazione di un corso di laurea sui Big Data. D’altronde — sfogliando giornali e siti recanti inserzioni di lavoro — è un fiorire di ricerche ammiccanti al lessico della Silicon Valley. Le aziende cercano ad esempio «data scientist», profili in grado di analizzare e interpretare migliaia di dati, portato dell’economia dei bit. Le imprese — anche le più piccole, ormai — sono a caccia di web analyst, esperti ad esempio nell’analisi delle campagne di AdWords di Google. Molto ricercati anche i manager esperti di piattaforme ecommerce, visto il boom delle vendite online grazie al progresso dei sistemi di pagamento.
La questione si sovrappone a quella inerente «l’Industry 4.0», diventata un «must» nei convegni. Rileva il giuslavorista Michele Tiraboschi che soprattutto negli Stati Uniti si assiste ad un’accentuata polarizzazione tra mestieri a basso valore aggiunto e figure ad alta specializzazione tecnologica, in grado di supportare le reti (e le connessioni) della «fabbrica intelligente». Qualche giorno fa un grafico del New York Times sottolineava come negli ultimi 15 anni sono crollati di quasi il 70% i posti di lavoro negli Usa nell’industria tessile. Per effetto delle delocalizzazioni nel Sudest asiatico, certo. Ma anche per una maggiore automazione industriale. L’assunto è che siamo di fronte ad un cambio epocale che prevede l’integrazione (profonda) delle tecnologie digitali nei processi industriali (con lo sviluppo sempre più sofisticato della robotica). Davide Di Domenico, partner della società di consulenza Boston Consulting specializzato in beni industriali, cita l’esempio di Spotify, dove l’organizzazione aziendale segue un approccio «down-top»: «Le decisioni vengono condivise da gruppi di lavoro in cui il manager è spesso soltanto l’ultimo anello della filiera». «La sensazione — aggiunge Mariano Corso, osservatorio Digital del Politecnico di Milano — che in Italia ciò che manca è il supporto all’auto-imprenditorialità». Una scarsa attitudine à a formare imprenditori di se stessi.
800 mila i posti di lavoro mancanti nel 2020 in Europa nell’IT secondo le stime