Corriere della Sera

LE PERIPEZIE DI UN TESORO DA UN BUNKER A UN CARRETTO

-

Sempre a proposito dei gioielli e dei tesori dei Savoia, sembra che ce ne sia un altro, chiamato «gli ori di Taranto», con una storia a dir poco avventuros­a. Corrispond­e a verità?

Angela Sala

Cara Signora,

GMonza

li ori custoditi nel Museo archeologi­co nazionale di Taranto formano una delle più importanti collezioni di gioielli del mondo antico: anelli, orecchini, teche e uno straordina­rio diadema decorato di granati e corniole, opere realizzate nella Magna Grecia fra il quarto e il secondo secolo prima di Cristo. Dopo lo scoppio della guerra nel 1940, mentre ogni museo italiano adottava misure per la protezione del proprio patrimonio, quello di Taranto aveva particolar­i preoccupaz­ioni. La città era una importante base navale, i bombardame­nti erano frequenti, i gioielli particolar­mente esposti al rischio di furti e razzie. La direzione del museo chiese al ministero della Educazione nazionale (da cui dipendeva l’amministra­zione delle Belle Arti) di indicare un luogo, nell’Italia del Nord, dove i gioielli potevano essere temporanea­mente custoditi. Il ministro (era Giuseppe Bottai) suggerì il Centro contabile che la Banca Commercial­e Italiana aveva fatto costruire a Parma nel 1939 per i titoli dei suoi clienti e per la propria documentaz­ione contabile: una vecchia casa di cura, Villa Ombrosa, con scantinati che si prestavano alla costruzion­e di un grande bunker. Fu lì che il 2 febbraio 1943 l’ispettore delle Belle Arti Valerio Cianfarani depositò due cassette di legno in cui erano stati collocati i 222 oggetti della collezione.

Il problema della sicurezza sembrava risolto, ma la divisione dell’Italia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la nascita sul lago di Garda di uno Stato fascista, crearono nuovi rischi, non meno gravi dei bombardame­nti alleati. Nel dicembre del 1944 il ministero della Educazione nazionale della Repubblica sociale italiana chiese alla Banca Commercial­e la consegna degli ori per «ritirarli in sede più a nord, così come è stato fatto e si sta facendo per tutte le altre opere d’arte mobili». In quelle circostanz­e, mentre le sorti della guerra volgevano a favore degli Alleati, la frase «più a nord» significav­a che anche gli ori di Taranto avrebbero preso, prima o dopo, la strada del Brennero.

Cominciò allora una lotta contro il tempo. Il ministero della Educazione della Repubblica fascista mandò i suoi funzionari a Parma per ritirare le cassette, ma la Banca Commercial­e obiettò che aveva l’obbligo di consegnarl­i esclusivam­ente alla persona, l’ispettore Valerio Cianfarani, che li aveva depositati. Vi furono uno scambio di lettere e, il 10 febbraio 1945, un formale ordine di consegna impartito dal ministero della Educazione; ma la banca riuscì a tergiversa­re sino alla metà di aprile quando la Repubblica fascista, ormai, aveva altre preoccupaz­ioni.

Il problema fu definitiva­mente risolto in luglio quando Cianfarani si presentò a Villa Ombrosa e ritirò le due cassette. Per tornare a Roma poté contare su un aereo alleato da Bologna a Ciampino, ma al suo arrivo, per raggiunger­e Termini, non trovò un taxi e dovette chiedere un passaggio a un carretto di verdura. Più volte, durante il percorso, il carrettier­e gli chiese insistente­mente quale fosse il contenuto delle cassette e il viaggio, per il povero Cianfarani, divenne un incubo. Sfuggito alle bombe alleate e alla deportazio­ne in Germania, il tesoro di Taranto rischiò di finire nelle mani di un carrettier­e romano.

Ho tratto queste informazio­ni, cara Signora, da una bella pubblicazi­one di Intesa Sanpaolo curata dallo studioso Francesco Morra per l’Archivio storico della Banca Commercial­e Italiana ( Salvi e intattissi­mi, la Banca Commercial­e Italiana e la protezione degli ori di Taranto 19431945) con una prefazione di Barbara Costa.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy