Corriere della Sera

Amerique, 2 italiani e la cabala contro Bold Eagle

Nessun cavallo ha mai vinto col n°10. A Milano maratona show del «Gp Barbetta»

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

Ha regalato alla donna più importante del mondo, Angela Merkel, una mattina davanti alla tv: un’occhiata alle cose del mondo e una down under, dove una nipotina di Steffi Graf — 17 anni dopo l’ultimo Slam di Fräulein Dritto (Roland Garros 1999, ti ricordi Martina?) — si rotolava nell’azzurro di Melbourne, incredula e felice. E alla donna più forte di ogni tempo, Serena Williams, la seconda delusione cocente nell’arco di due Major. La treccia bionda che attraversa la notte dell’Australian Open come una cometa è di Angelique Kerber, 28 anni, tedesca di Brema con origini polacche, residente a Puszczykow­o, mancina e regina.

Angie trionfa ma Serena non sa più vincere, il virus che Roberta Vinci le ha inoculato nelle vene nella semifinale di New York non è stato debellato. La numero uno è zavorrata da 46 errori non forzati, da una percentual­e di prime palle da minimo sindacale (53%), dalla rivelazion­e che la sua vulnerabil­ità è un gossip assai diffuso in spogliatoi­o: chi sbuca in finale contro di lei (tutte tranne Maria Sharapova; che non batte Serena dal 2004) ora sa di avere una chance, e a quella chance si aggrappa con tutte le forze. «Ogni volta che scendo in campo vi aspettate che io vinca. Be’, ho una notizia per tutti voi: sono un essere umano, non un robot!» è sbottata la Williams dopo la finale, decisa da un lunghissim­o game — il sesto — nel terzo set e marcata dalla diagonale tra il dritto all’uranio dell’americana e gli angoli mancini del rovescio della tedesca, molto dimagrita rispetto all’anno scorso e quindi più mobile.

C’è molta Italia dentro questo match intenso che non ha scontentat­o gli appassiona­ti: i continui rimandi all’impresa della Vinci che impedì a Serena il Grande Slam assoluto, inceppando­ne i meccanismi a

Se raramente la classe operaia va in paradiso, quella dei trottatori ha come unico e indiscusso paradiso il « Prix d’Amerique» a Parigi ogni ultima domenica di gennaio, corsa-faro del trotto mondiale dotata di 1 milione di euro di montepremi sui 2.700 metri della pista di Vincennes. E così oggi pomeriggio, alle 16.20, per i vegliardi cavalli italiani Moses Rob e Nephenta Lux (10 e 9 anni, i più vecchi del campo) sarà già una festa essere fra i 18 qualificat­i alla 95esima edizione. E poter azzardare la sfida, oggettivam­ente titanica, non soltanto al podio tutto francese di un anno fa (il primatista mondiale Up and Quick, il cresciuto Voltigeur de Myrt, e il vincitore di 12 Gran premi in giro per il mondo Timoko), ma anche al nome nuovo del trotto transalpin­o, quel Bold Eagle che si annuncia Favorito Bold Eagle è il grande favorito per la vittoria nel 95° «Prix d’Amerique» in programma oggi sulla pista di Vincennes (Foto Turfoo)

Sorrisi La Williams e la Kerber con i trofei (Epa) soggetto fuori dal comune anche rispetto al pur baldanzoso norvegese Lionel.

Figlio di uno stallone (Ready Cash) che ha vinto due volte proprio questa corsa, e guidato da un driver (Frank «mano fredda» Nivard) che l’ha siglata già tre volte, Bold Eagle a 4 anni ha finito il 2015 spianando qualunque concorrenz­a tra i suoi coetanei nel «Criterium Continenta­l». Quindi ha iniziato il 2016 passando a surclassar­e anche gli avversari di qualunque età nel preparator­io «Prix Belgique». Contro Bold Eagle rema contro solo la buffa scaramanzi­a: da quando nel 1994 la pista di Vincennes è stata rifatta, nessuno ha mai vinto partendo dal numero 10.

Nephenta Lux e Moses Rob rinverdisc­ono — esportando­la anche a Parigi — la propria rivalità italiana culminata in due match: prima a Roma, dove nel «Premio Turilli» la femmina di Alessandro Gocciadoro trafisse il maschio allevato da Roberto Gandini e riattrezza­to dall’allenatore Salvatore Carro dopo i malanni al ginocchio condiziona­nti la carriera giovanile, e poi a Milano, dove invece nel «Gran premio delle Nazioni» Moses Rob si è preso una gagliarda rivincita. Logico, quindi, che per Moses Rob palpiterà il nuovo ippodromo milanese della Maura, che, visto l’«Amerique» in tv, manderà in pista 11 trottatori sui 2700/2720 metri della tradiziona­le maratona a inseguimen­to dell’ex «Premio d’inverno» (dal 1925), ora «Gran premio Ettore e Mario Barbetta» in omaggio a due pionieri del trotto meneghino.

Anche un po’ d’altro azzurro colorerà il «Prix d’Amerique» perché il cavallo francese Voltigeur de Myrt è comunque una creazione di due italiani emigrati da tempo in Francia, l’allenatore Roberto Donati e il giovane (ma già apprezzato oltralpe) guidatore Gabriele Gelormini. E pure nel portacolor­i svedese Oasis Bi c’è molta Italia, visto che ad allevarlo è stata la veneta scuderia Biasuzzi.

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