Corriere della Sera

Damasco, strage al santuario sciita Guerra del Califfato all’altro Islam

Un’autobomba, poi due kamikaze vicino a una storica moschea: 60 vittime e oltre cento feriti

- Di Davide Frattini L. Cremonesi, Mazza

Stragenel santuario sciita. Autobomba e kamikaze Isis: 60 morti. Rivive l’odio di 1.336 anni fa. La guerra infinita che ancora si combatte a Damasco.

Dopo l’attacco Folla sul luogo dell’attentato nel quartiere sciita di Sayyida Zeinab, sobborgo popolare della capitale siriana Damasco: almeno sessanta vittime. L’attacco di ieri è stato rivendicat­o dall’Isis (Reuters)

Due esplosioni, forse tre, in rapida succession­e alle 11.30 di ieri mattina a Damasco. Almeno sessanta i morti — in parte soldati e in parte civili — ma il numero potrebbe aumentare perché tanti dei 100 feriti sono gravi. La tv di Stato siriana ha mostrato un cratere nell’asfalto, auto e veicoli accartocci­ati, un edificio sventrato. L’attentato, rivendicat­o dall’Isis attraverso l’agenzia di stampa AlAmaq, ha colpito il blindatiss­imo quartiere sciita di Sayyida Zeinab, un sobborgo popolare nel sudest rurale di Damasco. Gli estremisti sunniti hanno sottolinea­to, nel loro comunicato, di aver mirato a far strage di «apostati politeisti». Ed è un tentativo — secondo la responsabi­le per la Politica estera dell’Ue Federica Mogherini — di colpire i tentativi di iniziare un processo politico di transizion­e attraverso i colloqui di pace di Ginevra. Colloqui dai quali il Califfato è escluso.

La zona di Sayyida Zeinab è presidiata dal movimento sciita libanese Hezbollah, fedele al presidente Bashar Assad, e da volontari sciiti giunti da tutto il Medio Oriente: è uno dei luoghi più sacri agli sciiti, poiché vi sorge il santuario che custodisce la tomba di una delle nipoti di Maometto nonché figlia di Ali, considerat­o da loro il legittimo successore del Profeta.

Sayyida Zeinab è una zona militare sensibile, non è la prima volta che viene colpita: è stata teatro di duri scontri nei primi anni della guerra e, un anno fa, quattro persone morirono in due attentati suicidi, altre 9 su un bus di pellegrini diretti al santuario (per opera dei qaedisti di Al Nusra). Ma la zona è fortemente protetta e i kamikaze — due sia secondo le autorità che nella rivendicaz­ione dell’Isis — devono essere riusciti a superare diversi checkpoint. Secondo l’agenzia di Stato Sana prima sarebbe esplosa un’autobomba. Subito dopo gli attentator­i avrebbero azionato le cinture esplosive per fare strage tra la folla che accorreva. Sui social si vantano di aver colpito «la più importante roccaforte delle milizie sciite a Damasco». A parte la forte valenza simbolica dell’intero quartiere, alcuni testimoni affermano che un palazzo in parte distrutto dalle esplosioni ospitava al piano terra un quartier generale militare mentre ai cinque piani di sopra c’erano abitazioni civili. In armi Giovani soldati filo-governativ­i e abitanti di Sayyida Zeinab vicino al santuario sciita alla periferia di Damasco (Afp) La rappresagl­ia è arrivata subito, durissima contro i quartieri in mano a vari gruppi di oppositori (non necessaria­mente legati all’Isis). «Due minuti dopo la notizia dell’attentato, abbiamo sentito i jet del regime levarsi sulla città. Insieme all’artiglieri­a hanno colpito la campagna di Ghouta e altre zone intorno alla capitale», dice al telefono da Damasco Anton Barbu, direttore del programma della Ong milanese Avsi in Siria.

Il segretario di Stato Usa John Kerry ha lanciato un appello alle fazioni siriane perché usino questa occasione per porre fine a una guerra che rischia di trascinare con sé l’intero Medio Oriente. Mogherini ha sottolinea­to che la priorità è di alleviare le sofferenze dei siriani, garantendo accesso umanitario ed eliminando gli assedi. A Madaya ci sono stati altri 16 morti per malnutrizi­one nei giorni scorsi. «Madaya è un simbolo di quel che accade in tutto il Paese — spiega Barbu —, sono almeno 450 mila le persone che vivono in zone sotto assedio». accusandol­i di essere «collusi col terrorismo» di Isis e vanificand­o le loro richieste. Di fronte a tanta fragilità nell’impianto dei colloqui, l’elemento che più salta all’occhio è la mancanza di contatti tra Riad e Teheran: le due potenze regionali che guidano lo scontro tra sciiti e sunniti restano distanti. E la comunità internazio­nale si muove in punta di piedi. Lo dimostra il plateale silenzio con cui è stato permesso alla Turchia di scacciare la delegazion­e dei combattent­i curdi siriani. Dove sono finiti i tanti che fremevano per la resistenza di Kobane un anno fa? Alcuni tra i maggiori nemici di Isis vengono esclusi dai negoziati e nessuno dice una parola.

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