Corriere della Sera

Nell’istituto più antico d’Italia un test sul futuro del Paese

- di Federico Fubini

Più passano le settimane, più diventa chiaro ciò di cui una ristretta cerchia di persone in Europa è consapevol­e da un pezzo: la battaglia per il sistema bancario italiano si decide attorno al Monte dei Paschi. Su Siena si stanno scaricando con la massima intensità le tensioni finanziari­e di questi mesi. Viste le dimensioni dell’istituto, risolvere l’incertezza che grava su Mps equivale a dare un porto più riparato all’intero sistema bancario italiano. Non è necessaria­mente una cattiva notizia. Sulla carta Montepasch­i può essere un terreno favorevole sul quale giocare questa partita. Nell’anno che si è appena chiuso la banca è tornata a spuntare un (piccolo) utile per la prima volta del 2010. La liquidità di Mps è salita per tutto il 2015 ben più di quanto sia poi scesa — nel nervosismo generale — dopo la forzatura di Bruxelles sul traumatico «salvataggi­o» di Banca Etruria e di altre tre piccole banche.

Soprattutt­o, almeno potenzialm­ente, Montepasch­i si presenta come un affare: bastano poco più di due miliardi per comprarlo con un discreto premio sulle quotazioni attuali

Oltre confine

eppure ha un patrimonio netto (tutti gli attivi meno tutti i debiti) di quasi dieci miliardi. Certo ha anche 46,9 miliardi di crediti cattivi, piuttosto ben coperti da accantonam­enti di capitale. Ma immaginand­o che ne servano tre o quattro per normalizza­re il problema, per il futuro proprietar­io resta una polpa di almeno tre miliardi e mezzo.

La domanda più importante per l’economia italiana oggi dunque è: perché non ci sono offerte per un’azienda così nella settima economia avanzata del mondo? Gli istituti francesi tacciono, i cinesi anche benché la banca centrale di Pechino sia già fra i primi soci di Siena (al 2%). Possono esserci ragioni

Se non ci sono compratori dall’estero per Siena, forse è perché è impossibil­e capire dove sia diretta l’Italia fra cinque o dieci anni

tattiche. Una di queste è che l’attuale richiesta della bergamasca Ubi che lo Stato garantisca certe passività di Mps, prima di comprarla come vuole il governo, non sembra praticabil­e.

Poi però si può riflettere alle ragioni di fondo. Non è chiaro a chi nei prossimi anni Mps presterà con profitto, o quali saranno le sue attività di successo nell’esangue tessuto del centro Italia. Questo poi è solo un punto in un panorama più vasto. Se non ci sono compratori dall’estero per la terza banca d’Italia, forse è perché dall’estero è impossibil­e capire dove sia diretta l’Italia fra cinque o dieci anni. Se il suo debito smetterà di salire. Se il governo continuerà a modernizza­re il Paese come aveva iniziato a fare nel suo primo anno, o aumenterà la spesa pubblica a pioggia ogni volta che si avvicinano le urne. In sintesi, se l’Italia sarà in grado di restare nell’euro la prossima volta che arriva una recessione.

Le domande, nel mondo, sono queste. Mai come oggi la banca più antica d’Italia è anche un test sul suo futuro.

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