Corriere della Sera

«Noi valutiamo il caso concreto, ma la scelta sulla bigenitori­alità spetta al Parlamento»

- Virginia Piccolillo

Luciano Panzani lei, da presidente della Corte d’Appello di Roma, durante la cerimonia di inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o, ha lodato come «bella ed equilibrat­a » una sentenza che consentiva ad una donna di adottare la figlia della partner. Perché?

«Perché era una sentenza ben fatta, ben motivata e non sposava tesi».

Nemmeno la tesi di chi chiede la «stepchild adoption», contenuta nel ddl Cirinnà in discussion­e?

«Noi valutiamo il caso concreto. Questo riguardava la madre naturale e l’istanza della compagna che aveva con la bambina una relazione affettiva. La Corte ha ritenuto che, nell’interesse del minore, potesse essere data risposta positiva. Ma secondo una possibilit­à che, in casi particolar­i, già oggi c’è».

Il caso dell’adozione del figlio del partner dello stesso sesso, però, è proprio quello di cui si discute. Questa sentenza sembra dare un via libera alla legge. È così?

«No, nella motivazion­e c’è proprio scritto che la sentenza non si pone il problema di carattere generale che deve risolvere il legislator­e. E che la legge consente l’adozione del minore se non è in stato di abbandono, quando c’è un rapporto affettivo, e nell’interesse psicofisic­o dei figli, senza che ciò possa significar­e riconoscim­ento di una bigenitori­alità».

Citandola alla vigilia del dibattito ha voluto supportare le richieste delle coppie gay?

«No, no. È una coincidenz­a, la relazione l’ho scritta tempo fa. E citavo la sentenza per dire che i giudici hanno un grande carico non solo quantitati­vo, ma anche qualitativ­o. Ho detto che la scelta della bigenitori­alità spetta al Parlamento. Noi applichiam­o la legge. Ma quando arriva un caso dobbiamo decidere».

La politica e le scelte Sull’utero in affitto mancherebb­ero comunque le garanzie: anche le adozioni internazio­nali quando c’è il sospetto di operazioni commercial­i vengono bloccate

La sentenza apre la via all’adozione di bimbi nati da un «utero in affitto»?

«Non c’entra nulla. La norma si applica nel caso in cui uno sia il genitore naturale».

C’è chi teme, o spera, che la legge porti in quella direzione. Poi due partner maschi potrebbero programmar­e la maternità surrogata sicuri di poter adottare il bambino nato.

«

Lo vedo molto complesso e poco opportuno. C’è stato un corto circuito mentale, su questo tema, da entrambe le parti. Prima viene l’interesse del minore e poi il desiderio di paternità. È brutale, ma bisogna dirlo... Non si può arrivare a ordinare un bambino, come si va a comprare un cucciolo».

C’è chi rivendica famiglie stabili e felici nate così.

«

Certo. E a distanza di tempo, e in presenza di un rapporto stabile, meglio lasciare lì i bambini. Ma nella nostra legislazio­ne non si può disporre né della donna, né del piccolo».

E se la donna acconsente?

«Anche se stipula un contratto commercial­e il figlio è suo. Ha il diritto di abortire. O di ripensarci. E il bambino ha il diritto ad avere una madre e, se abbandonat­o, ad un affido e poi all’adozione. Per scegliere la soluzione migliore per lui».

La soluzione migliore prevede sessi diversi?

«Oggi è così. Si pensa all’identifica­zione che i bambini

L’intervento

«La mia presa di posizione proprio sabato? La relazione l’ho scritta tempo fa»

hanno un po’ con l’uno un po’ con l’altro. Ma anche se domani si decidesse diversamen­te non verrebbe tolto l’ostacolo all’utero in affitto. Mancano le garanzie: anche le adozioni internazio­nali quando c’è il sospetto di operazioni commercial­i vengono bloccate. Se si pensasse di arrivare con il neonato della mamma surrogata il bimbo potrebbe essere bloccato o dato in affitto».

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