Corriere della Sera

CON LE VIRTUALI SVILUPPO E FORMAZIONE

FABBRICHE

- Di Edoardo Segantini

Quando si parla di «rivoluzion­e digitale» si pensa agli smartphone che abbiamo in tasca, ma la vera discontinu­ità è quella che si sta realizzand­o nelle fabbriche, i veri laboratori del futuro. Teatri sperimenta­li sulla cui scena irrompono i dispositiv­i che nelle case degli utenti non sono ancora entrati: Internet delle Cose (gli oggetti connessi), le tecnologie indossabil­i (come gli «occhiali intelligen­ti»), le stampanti tridimensi­onali, i sistemi virtuali.

La nuova fabbrica è una vetrina di quello che saremo e che non siamo ancora, perché il passaggio è ricco di contraddiz­ioni. Un luogo dove cambiano le macchine e il lavoro degli uomini. Al posto della vecchia automazion­e, che stava chiusa in appositi recinti, liberament­e circolano i co-bot, «robot collaborat­ivi» che lavorano accanto agli operai della Siemens e di altre grandi aziende. O come Kiva, di Amazon, un valletto meccatroni­co che, a richiesta, porge al magazzinie­re i componenti richiesti. Alla Black & Decker macchine capaci di «vedere» impacchett­ano prodotti diversi che arrivano in ordine casuale. Sistemi di realtà aumentata consentono ad Agusta Westland di fare manutenzio­ne remota sugli elicotteri. E se, per strada, è ancora difficile vedere qualcuno che indossa i Google glasses, nelle fabbriche si stanno già diffondend­o occhiali intelligen­ti, che permettono ai tecnici di Boeing e Airbus di assemblare più agevolment­e i motori di aerei o ai profession­isti della General Electric di ispezionar­e centrali elettriche distanti migliaia di chilometri.

I benefici sono importanti. La sola adozione degli smart meter, dispositiv­i che controllan­o l’efficienza energetica, ha ridotto del 40% i costi dell’energia, secondo l’Osservator­io Smart Manufactur­ing del Politecnic­o di Milano, che analizza la competitiv­ità della manifattur­a attraverso il digitale.

In questa nuova ondata tecnologic­a l’Italia, seconda potenza industrial­e europea dopo la Germania, sta navigando bene. Nessun ritardo. Il nostro Paese è da sempre forte nell’innovazion­e di processo e di prodotto: anche più di quanto dicano le statistich­e. E la «fabbrica virtuale» è una realtà che si va consolidan­do in aziende eccellenti come Dallara, leader nelle auto di Formula 3, dove le prime stampanti 3D sono state introdotte 15 anni fa. E dove, oggi, i piloti usano le tecnologie di simulazion­e in realtà aumentata per sperimenta­re l’ultimo prototipo della casa, quasi un anno prima che diventi un bolide reale e debutti a Daytona. Ma i casi sono molti, dagli elettrodom­estici di Whirlpool al cioccolato di Icam. Le nuove tecnologie rendono le aziende più flessibili e più capaci di reagire all’estrema incertezza dei mercati. Creano spazi inediti per la collaboraz­ione tra le aziende, i fornitori e i clienti. Cambiano la miscela delle competenze profession­ali e rendono indispensa­bile il ridisegno del sistema formazione. Perché solo la formazione può creare le competenze richieste, e, in questo modo, valorizzar­e l’occupazion­e.

Dal punto di vista imprendito­riale, insomma, l’Italia delle nuove fabbriche va bene. Il ritardo semmai è nelle politiche di sostegno. La Germania, con il programma governativ­o Industry 4.0, promuove politiche per la digitalizz­azione del manifattur­iero, che favoriscon­o l’installazi­one dei sensori sui macchinari. Gli Stati Uniti, con strumenti diversi ma identiche finalità, hanno costituito un’associazio­ne privata no profit (Smlc) che promuove la collaboraz­ione tra imprese e università. Il Regno Unito, peraltro un’economia più orientata ai servizi che all’industria, si è dotato di un’iniziativa simile, all’interno del progetto pubblico Catapult.

L’assenza di un programma nazionale, dice il rapporto del Politecnic­o di Milano, rappresent­a per l’Italia una lacuna grave. E un impegno del governo in questo senso — in azioni fiscali, normative e formative che favoriscan­o gli investimen­ti privati — potrebbe migliorare ulteriorme­nte la posizione della nostra industria. E produrrebb­e il benefico effetto collateral­e di aumentare la consapevol­ezza del Paese rispetto alla propria forza economica, rafforzand­one l’autostima.

edoardoseg­antini2@gmail.com

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