Nella «Casa di bambola» di Shammah la crisi del maschio manipolato da Nora
Nora, la protagonista del dramma di Ibsen Casa di bambola, è una giovane donna che si sveglia alla comprensione di sé e si accorge di una società dove menzogna, convenzione, perbenismo sono eretti a sistema e fugge via?
Lettura prevalente sui nostri palcoscenici, quasi una visione mitologica. La regista Andrée Shammah, che con i classici ha un rapporto di lievità giocosa, non ama una Nora proto femminista ma ricerca una Nora, come scrive Groddeck, la cui sua essenza sia «sogno e finzione». Una Nora con i suoi volti di imprudente innocenza e di cercata seduzione, Nora borghese bambina che vuole a tutti i costi la felicità che per lei passa dal danaro, Nora che favoleggia di sé eroina perché per amore ha truffato, facendosi prestare da un mascalzone, Krogstad, i soldi necessari per portare il marito malato in Italia. Nora che crea e inventa ogni giorno il «romanzo» della sua vita da bambola innocente, e lo fa con le armi della seduzione, stando al gioco e alimentandolo.
Affascina tutti gli uomini, legati a lei da un rapporto che passa dall’eros e dalle moine. Così in Una casa di bambola Shammah affida tutti i ruoli maschili alla bravura di Filippo Timi che ruota intorno alla fragilità incantata e bambolesca di Marina Rocco. Timi non può essere un personaggio negativo, Helmer il marito dispotico e egoista che tratta duramente la moglie. No. Timi è un marito dolce gioca con piacere al gioco della bambola che il suo «scoiattolino» gli apparecchia.
Nel finale è un uomo talmente spaesato, fatto a pezzi nelle sue certezze, da fare tenerezza. In scena Filippo Timi (41) e Marina Rocco (36) in «Casa di bambola» in scena al Franco Parenti di Milano Nei panni poi del dottore che sta morendo, Timi è la grigia malinconia di un innamorato infelice che dignitosamente si ritira. E nemmeno Krogstad, che la ricatta reclamando un suo posto al sole della società, è crudele con lei, è l’inciampo che si spianerà. E Nora continua sognare, a vivere, a giocare, la trama si infittisce e lo spettacolo si colma di trovate, la bimba che suona l’arpa, l’inserimento di una serva cui Andrea Soffiantini dona svagata, divertente saggezza popolare, e la tarantella di Timi che quando scappa dai personaggi sprizza colore e calore da ogni poro.
È la commedia che corre per infrangersi nell’aspra scena finale, e c’è da ipotizzare che questa Nora se ne vada per alzare il prezzo del suo rientro e continuare a favoleggiare. Andrée Shammah traduce Ibsen in commedia brillante, si perde sicuramente in profondità per acquistare una leggerezza che può essere riempita dal gioco del teatro, del far spettacolo, osservato da un nero personaggino tra le quinte. È il destino dei teatranti.