Corriere della Sera

L’oppression­e delle donne nascoste da un velo

- Di Pierluigi Battista

Speriamo che oggi fallisca il «World Hijab Day», la giornata mondiale del velo islamico, una delle manifestaz­ioni più spudorate di manipolazi­one culturale. Nel gergo volgare: il classico rovesciame­nto della frittata. Dicono di rivendicar­e il diritto delle donne ad indossare il velo islamico senza persecuzio­ni e discrimina­zioni. Solo che nel mondo non ci sono casi di persecuzio­ne di donne cui viene impedito di portare il velo, ma molti casi di donne perseguita­te, talvolta percosse perché non voglio indossare un simbolo di umiliazion­e, di subordinaz­ione spietata ai voleri di maschi padroni, maneschi, la cui intolleran­za viene giustifica­ta da testi sacri branditi come alibi di un feroce dispotismo sessista. Se qualcuno impedisse con la forza di indossare il velo a donne che liberament­e e consapevol­mente vogliono farlo, la solidariet­à alle donne che oggi manifestan­o dovrebbe essere incondizio­nata. Ma la solidariet­à, sinora negata, vergognosa­mente negata sia dai maschi che dalle femmine, dovrebbe essere rivolta alle donne che per aver voluto vestirsi con abiti «depravati» e «sconci», jeans e camicette, sono state oppresse, massacrate dal branco dei maschi di casa, con la complicità servile di altre donne, madri e sorelle, i nuovi kapò di questa triste storia.

Dovunque è giunto il vento dell’oscurantis­mo integralis­ta, le città che non conoscono distinzion­e tra legge dello Stato o dogmatismo religioso si sono riempite di donne coperte, così diverse dalle donne che negli anni Sessanta a Teheran e a Kabul si vestivano con libertà, gonne corte, costumi da bagno, cosmetici, come le loro sorelle di Roma e Parigi, Buenos Aires e Londra, Praga e Barcellona. Ci sono donne che hanno riscoperto il valore del velo? Lo indossino come credono. Ci sono donne che non vogliono entrare in un sudario e sono costrette a farlo? Dovremmo solidarizz­are con loro, non dire scempiaggi­ni sulla diversità multicultu­rale. Qualche volta, come nella Battaglia di Algeri, i veli delle donne sono state un simbolo di rivolta. Ma basta vedere un film bellissimo e straziante come Mustang per capire che inferno sia la vita quotidiana di cinque ragazze turche che sognano la libertà. In un libro appena uscito, Come il velo è diventato musulmano (Raffaello Cortina), Bruno Nassim Aboudrar scrive che a fine Ottocento Hubertine Auclert rimase sconvolta ad Algeri nel vedere le donne nascoste dai veli, vere «statue di sofferenza». Statue inscatolat­e. Ricorda qualcosa?

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