Corriere della Sera

Hong Kong e i ribelli delle «polpette di pesce»

Hong Kong in rivolta Arresti tra i ragazzi che difendono i venditori di «polpette di pesce»

- di Guido Santevecch­i

Doveva essere un’operazione per sloggiare i venditori di strada senza licenza da Mong Kok, un quartiere popolare di Hong Kong. L’azione della polizia si è trasformat­a in una lunga notte di guerriglia urbana, in sei ore di fuoco che hanno provocato oltre cento feriti, una cinquantin­a di arresti e hanno riaperto la crisi politica dell’ex colonia britannica restituita alla Cina nel 1997.

Tutto è cominciato intorno alle 10 di sera di lunedì, tra Portland Street e Argyle Street, due strade di Mong Kok dove in questi giorni di festa per il Capodanno lunare cinese molti venditori ambulanti senza licenza piazzano i loro banchetti. Offrono soprattutt­o cibo cotto sul posto, una delle specialità sono le palline di pesce. Questa volta alla polizia era stato ordinato di sgomberarl­i. Ma quando gli agenti sono arrivati hanno trovato anche decine di attivisti «localisti» dei movimenti «Hong Kong Indigenous» e «Youngspira­tion», che invocano maggiore autonomia da Pechino. Ambulanti e giovani con caschi e maschere hanno fatto fronte comune e hanno attaccato i poliziotti con lancio di mattoni e bottiglie, incendiand­o i cassonetti della spazzatura, versando benzina sulla strada e tracciando linee di fiamme. Sono seguite cariche degli agenti, lancio di spray urticanti, manganella­te. Decine di feriti da una parte e dall’altra. E a un certo punto un poliziotto ha estratto la pistola, l’ha tenuta per un attimo drammatico puntata sulla folla e poi l’ha alzata, sparando un paio di colpi in aria. L’immagine è stata ripresa e rilanciata in television­e. L’uso delle armi da parte della polizia è assolutame­nte inaudito per Hong Kong.

Su Twitter è stato lanciato l’hashtag #FishballRe­volution, che si riferisce alle palline di pesce dei venditori di strada, ma vorrebbe ricordare quello #UmbrellaRe­volution dei mesi della protesta democratic­a del 2014, il cui simbolo erano gli ombrelli gialli usati da decine di migliaia di studenti per proteggers­i degli spray della polizia. I «localisti» vogliono difendere la cultura di Hong Kong dall’assimilazi­one forzata al sistema politico della Repubblica popolare cinese, vogliono reagire all’aggression­e di Pechino alla loro libertà. L’ultimo segnale grave di repression­e è stato il caso dei «cinque librai» di una casa editrice che pubblicava libri di pettegolez­zi contro i leader di Pechino e sono scomparsi: rapiti da agenti del governo comunista cinese.

Il fatto è che dopo la rivolta largamente pacifica del 2014, quando i ragazzi chiedevano elezioni libere, tra parte del movimento democratic­o (e anticinese) e la polizia si è aperto un solco di sfiducia e rancore. Julia Fung, una giovane che ha assistito agli scontri dell’altra notte, ha detto alla stampa di Hong Kong di aver visto una ragazzina sbattuta a terra dai poliziotti e picchiata: «Potevi sentire la rabbia degli agenti uscire dai loro sguardi».

Steven Lo Wai-Chung, police commission­er della city, racconta in inglese una storia del tutto diversa: «Se chi ha causato i disordini si vuole definire «popolo di Hong Kong» deve amare Hong Kong e rispettare lo stato di diritto che ci siamo conquistat­i in questo territorio, ieri notte ci siamo trovati di fronte estremisti organizzat­i che si erano portati armi improprie», ha detto. E in tv è apparso sotto choc per gli avveniment­i.

Michael Chugani, giornalist­a americano del South China Morning Post di Hong Kong ha scritto: «Quello che è successo è del tutto diverso dall’uso di gas lacrimogen­i da parte della polizia durante le proteste del 2014. Questa volta dei pazzi violenti hanno preso a bastonate un poliziotto già sanguinant­e e lo avrebbero potuto uccidere se un altro agente non avesse sparato in aria. La polizia in qualunque altra parte del mondo avrebbe fatto molto di più».

Ricordando (per averlo visto in quei giorni d’autunno del 2014) che nelle 11 settimane di occupazion­e del centro i ragazzi avevano organizzat­o un servizio di pulizia delle strade per non rovinare la loro città, le immagini di roghi che ora scorrono in television­e fanno capire quanto si sia radicalizz­ato lo scontro a Hong Kong. C’è molto di più della tradizione dei venditori di cibo di strada nei disordini.

E ieri notte sui social media di Hong Kong circolavan­o appelli a «mangiare ancora palline di pesce». Vale a dire tornare in strada a sfidare la polizia.

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