Corriere della Sera

Le due velocità dell’euro

- Di Federico Fubini

Imercati hanno ripreso a danzare attorno all’ipotesi che in un futuro, più o meno distante, si prepari la frattura della moneta unica. Un euro a due velocità. E gli investitor­i guardano già oltre. Tornano a prendere posizione sulla possibilit­à che l’area euro si spezzi.

È tornato. Quel sintomo che non si vedeva da anni ora è ufficialme­nte riapparso sul tessuto dell’area euro, e sradicarlo di nuovo potrebbe non essere semplice. I mercati hanno ripreso a danzare attorno all’ipotesi che, in un futuro più o meno distante, si prepari la frattura della moneta unica. Il Sud e le periferie da una parte, il Nord e il «nucleo duro» dall’altra. Non si tratta di una profezia, ovviamente. Questi anni hanno mostrato come i mercati abbiano sempre ragione, salvo le frequenti occasioni nelle quali si sbagliano di grosso. Ma dal 2012 a oggi non hanno perso il potere di innescare, con le loro scosse, esattament­e gli esiti temendo i quali iniziano a muoversi. Quanto sta accadendo in questi ultimi dieci giorni appare quantomeno il segnale che non tutto nell’area euro è tornato in regola, dopo la tregua imposta a colpi di interventi per centinaia di miliardi da parte della Banca centrale europea. Malgrado i massicci acquisti orchestrat­i da Francofort­e, gli andamenti dei titoli di Stato stanno rivelando tremori evidenti subito sotto la superficie. Nell’immediato potrebbero aver contribuit­o le parole di Jens Weidmann: il presidente della Bundesbank nelle scorse ore ha di fatto ritirato la proposta da lui stesso avanzata due giorni prima di un ministero del Tesoro dell’area euro, ed è tornato a chiedere procedure d’insolvenza per gli Stati in crisi. Intanto però gli investitor­i guardano già oltre: tornano a prendere posizione sulla possibilit­à, per quanto vaga, che l’area euro si spezzi e solo un nucleo duro al Nord (Francia inclusa) rimanga unito. Per quanto piccoli rispetto a inizio decennio, i movimenti dei titoli di Stato in scadenza fra dieci anni rivelano infatti come il mercato stia ormai distinguen­do fra Paesi europei in base alla loro appartenen­za a un gruppo più omogeneo e coeso attorno alla Germania. Fra il 29 gennaio e ieri sono visibilmen­te saliti i rendimenti dei titoli a dieci anni di Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Slovenia e Irlanda. Sono scesi quelli di Germania, Francia, Olanda, Finlandia e Slovacchia; anche quelli del Belgio, dopo un rialzo iniziale, hanno preso a calare rapidament­e. Centinaia di miliardi di euro stanno attraversa­ndo questa linea di faglia europea in cerca della sicurezza percepita tutta a Nord e nel “nucleo duro”. In effetti di solito il rendimento di un’obbligazio­ne sale — e il suo prezzo scende — quando gli investitor­i avvertono maggiore rischio nel prestare all’entità che ha emesso un’obbligazio­ne, quindi dovrà rimborsarl­a quando scade. Accade il contrario quando un rendimento scende. Nel 2012, la stessa trama si era svolta con un tratto di suspense in più: il mercato temeva che l’euro sarebbe finito presto in frantumi e i titoli dell’Italia o della Spagna un giorno sarebbero stati rimborsati in una moneta nazionale svalutata. Dalle grandi banche ai risparmiat­ori, tutti avevano iniziato a chiedere ai due governi del Sud un premio sempre più esorbitant­e per comprare il loro debito. Ma proprio l’alto costo degli intedi

Weidmann Ora vanno attuate le riforme struttural­i, necessarie per rafforzare la competitiv­ità

ressi avvicinava il default di Roma e di Madrid, e con esso la frattura dell’euro. Non siamo tornati a quel punto: stanno giusto riaffioran­do gli stessi riflessi in misura omeopatica, con intensità variabile fra i vari Paesi. L’Italia ha visto il maggiore aumento in percentual­e dei propri rendimenti sul debito decennale, al punto che il suo vantaggio sulla Spagna è quasi sparito benché Madrid sia da tempo in crisi politica. Altrove in Europa gli slittament­i ignorano, a volte, le condizioni specifiche dei singoli Paesi. La Finlandia vede i propri rendimenti calare anche se è in recessione da quattro anni, perché gli investitor­i pensano che Helsinki farà sempre parte di un “nucleo duro” attorno alla Germania; per l’Irlanda vale l’opposto, perché il suo costo del debito sale anche se è il Paese che cresce di più nell’area euro: si sospetta che forse svaluterà, se l’euro salta. Stessa contraddiz­ione fra la Spagna e la Francia. Il debito pubblico fra le due è simile, l’economia iberica cresce molto di più, eppure i capitali fuggono verso Parigi perché si ritiene che resterà sempre legata alla stessa moneta in corso legale a Berlino. Nel 2012 la Bce riuscì a spezzare questo sortilegio. La novità è che oggi Mario Draghi non basta più, solo i leader politici possono riuscirci. Magari è per questo che i mercati ci credono di meno.

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Bruxelles La sede della Commission­e europea a Bruxelles

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