Corriere della Sera

MA IL DIBATTITO SUI «PANINI» NO

La politica, la tv di Stato e le alchimie dei telegiorna­li

- di Gian Antonio Stella

Michele Anzaldi, il segretario della commission­e di Vigilanza Rai, per lagnarsi dello spazio nei tg dedicato alla maggioranz­a, ha riportato alla ribalta l’immagine del «panino».

Narra la leggenda che il sovrabbond­ante deputato diccì Giovanni Alterio si mangiò un giorno alla buvette 24 panini e cinque crocchette spingendo il collega verde Stefano Apuzzo a regalargli «un sacchetto di ghiande per placargli il vorace appetito». Non meno ingordo, l’onorevole Michele «Epurator» Anzaldi, il più bulgaro dei bulgari dei Guardiani della Rivoluzion­e renziana, si è lagnato ieri del poco spazio concesso dai tiggì Rai alla sua amata maggioranz­a. Vabbé lo spazio dato al premier e al segretario del Pd e ai vari ministri incessante­mente ritratti nell’operosa quotidiani­tà, ma la maggioranz­a?

Ha detto proprio così, il segretario della commission­e di Vigilanza Rai nell’intervista al nostro Fabrizio Roncone dove, con l’umiltà che lo distingue nonostante vanti un luccicante curriculum di portaborse, portavelin­e e portavoce, ha sobriament­e sparato a zero contro la presidente Monica Maggioni e l’amministra­tore delegato Antonio Campo Dall’Orto e i soliti Massimo Giannini e Andrea Vianello e Bianca Berlinguer: «Continua a fare sfacciatam­ente una sorta di “panino”, dove mette insieme governo e opposizion­e, senza dare voce alla maggioranz­a. Una distorsion­e inaccettab­ile!». Testuale.

Il panino! Erano tre anni che perfino l’Ansa non citava più il «panino». E si riferiva in quel caso a Poldo, l’amico di Braccio di Ferro. Non bastasse, il successore e allievo di Francesco Storace, il primo «Epurator» certificat­o ( lo battezzò così Gianfranco Fini: «Dov’è Storace? Sarà da qualche parte a preparare una lista di proscrizio­ne») rivendica i giudizi assolutori dell’Agcom. Contro la cui lottizzazi­one politica si schierò a suo tempo lo stesso Paolo Gentiloni del quale il «Novus Epurator» è stato uno dei collaborat­ori.

Dice quel giudizio dell’Authority per le telecomuni­cazioni, sventolato dall’Unità e da partitodem­ocratico. it, che «non è corretto, ai fini di individuar­e la presenza complessiv­a di un soggetto politico, sommare la visibilità del presidente del Consiglio dei ministri e degli altri membri del governo con quella degli esponenti della maggioranz­a». Per capirci: se il premier va da Obama alla Casa Bianca non è automatico che la Rai debba dare lo stesso spazio

La morale Le regole possono essere giuste o sbagliate a seconda se fanno comodo

al M5S e a Forza Italia che quel giorno potrebbero non avere notizie di rilievo.

Ovvio. Il giorno di Obama, però. Ma tutti i giorni? E in ogni caso, come si distingue il servizio «istituzion­ale» su Matteo Renzi presidente del Consiglio di tutti e quello sul Matteo Renzi segretario del Partito democratic­o e cioè di una delle botteghe su piazza? Vale oggi quanto valeva ieri: come andava distinto il Silvio Berlusconi premier e il Silvio Berlusconi leader forzista? E le critiche alle tracimazio­ni televisive valgono solo a seconda di chi tracima?

Dice dunque l’Osservator­io di Pavia che dal ‘94 «svolge l’attività di monitoragg­io del pluralismo politico sulle television­i nazionali, i cui risultati vengono utilizzati dalla Commission­e Parlamenta­re di Vigilanza Rai», che nel maggio 2015, per citare il mese chiave delle «regionali», il Pd (14,4%) più l’Ncd più i post montiani di Scelta Civica più l’Udc più il Ps eccetera hanno avuto oltre il 20% di spazio più il 22,7 dedicato al governo e il 16,6 alle figure istituzion­ali spesso identifica­te dalle opposizion­i, a torto o a ragione, come «nell’area di centrosini­stra» contro il 13,3% al M5S, l’11,9% a Forza Italia-Pdl, il 4,4% alla Lega e così via. Un equilibrio così così. Ma lì, date le elezioni, erano puntati i fari della legge sulla Par Condicio.

Prendiamo lo spazio distribuit­o nei telegiorna­li Rai ad agosto? Ecco il Pd al 24,4% e il governo al 36,9 per un totale del 61,3 più altri tre o quattro punti sparpaglia­ti tra gli «amici». Contro un 11,6% a testa concessi ai berlusconi­ani e ai grillini e un 4,8% alla Lega. Peggio ancora in ottobre: 29,9% al Pd e 21,4% al governo più frattaglie contro un 7,8% a testa al M5S e a Forza Italia e un 3,3% a Salvini e ai leghisti. Percentual­i complessiv­e dei maggiori partiti nell’arco di tutto il 2015: 32,7% di spazio nei telegiorna­li al governo, 18,4% al Pd, 10,3% a Forza Italia, 9,6% ai grillini, 5% alla Lega Nord. E l’insaziabil­e Anzaldi, che già aveva sbuffato contro quanti a Rai3 «non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, il quale poi è diventato anche premier», ancora si lagna?

C’è chi dirà: è sempre andata così. L’allora presidente ulivista della Rai Roberto Zaccaria, in polemica nel 2001 con le scelte smaccatame­nte berlusconi­ane dei canali e dei tg Fininvest, arrivò anzi a teorizzarl­o: «La Rai segue la regola dei tre terzi». Un terzo al governo, un terzo alla maggioranz­a, un terzo all’opposizion­e. Con una riduzione in campagna elettorale degli spazi al governo e un aumento alle forze in campo: «37% alla sinistra, 38% alla destra». Dieci anni dopo, nel 2011, con la Rai in mano alla destra, ringhiava: «Berlusconi: 768 secondi di tempo di parola e 602 di notizia; Bersani 119 secondi di tempo di parola e 155 secondi tempo di notizia».

Certo fa effetto rileggere Piero Fassino che nel 2004, da segretario dei diessini, contestand­o stavolta dai banchi dell’opposizion­e la regola dei tre terzi, sbottava che «governo e centrodest­ra non sono due cose distinte» e così «il centrodest­ra parla due volte e noi una sola». Non meno spassosa la tesi opposta di Maurizio Gasparri: «Credo che la Rai complessiv­amente rispetti l’equilibrio e ciò avviene anche al di là della cosiddetta norma Zaccaria che prevede la divisione di un terzo degli spazi al governo, un terzo alla maggioranz­a e un terzo all’opposizion­e…». Insomma, le regole possono essere giuste o sbagliate a seconda se fanno comodo. E così gli editti bulgari…

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