Una «sveglia» all’Europa dai fondatori «Schengen non va messo in discussione»
A Roma i sei ministri degli Esteri per rilanciare l’Unione. Con i profughi «umanità ed efficienza»
«Un messaggio per l’Europa», dice Paolo Gentiloni. «Una sveglia per l’Unione», gli fa eco il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier. Non poteva produrre decisioni concrete, l’incontro romano fra i capi delle diplomazie dei sei Paesi fondatori della Ue. Ma a Villa Madama, Italia, Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, «preoccupati dello stato del progetto europeo», provano a rilanciare lo spirito originario, indicando la prospettiva della «ever closer union», l’unione sempre più integrata tra i popoli del Continente come la «migliore risposta alle sfide odierne» in uno dei momenti più difficili della sua Storia.
Trova buona accoglienza l’iniziativa italiana, lanciata nella prospettiva delle celebrazioni per i 60 anni del Trattato di Roma, che cadono nel marzo del prossimo anno. Ma l’appuntamento di ieri non prefigura la nascita di un nuovo formato, come lo stesso Gentiloni si affretta a precisare: «La nostra iniziativa — così il titolare della Farnesina — non è esclusiva e non vuole tener fuori altri Paesi». E fin dal prossimo incontro, che avrà luogo tra qualche mese in Belgio, l’obiettivo è di coinvolgere altri Stati membri della Ue, disposti a «condividere questo ruolo propulsivo».
Formato o meno, non c’è dubbio che qualcuno dei partecipanti non fosse esattamente a suo agio, nei colloqui di ieri sera: non è un mistero, infatti, che la Francia veda con sospetto ogni iniziativa che possa potenzialmente diluire se non il significato, il peso specifico del suo rapporto privilegiato con la Germania. Però è interessante notare il commento di Steinmeier, il quale ha definito l’invito dell’Italia «una iniziativa buona in tutti sensi, fatta al momento giusto».
Si è parlato di crisi dei rifugiati e i sei Paesi fondatori mettono nero su bianco che «solidarietà e responsabilità» devono guidare una risposta che può essere soltanto europea. «È necessario applicare le decisioni comuni con umanità ed efficienza», recita il documento finale. Dunque, miglior controllo delle frontiere esterne, approccio geograficamente ed economicamente equilibrato nella ripartizione dei carichi, maggior cooperazione con i Paesi di origine e di transito. «Non è possibile immaginare — precisa Gentiloni — che decisioni di singoli Stati possano mettere in discussione conquiste e risultati acquisiti da decenni, in particolare lo spazio di Schengen». È Steinmeier ad ammettere la complessità della sfida posta dalle ondate migratorie: «Non ci sono soluzioni facili, sono persone che fuggono dalla violenza».
Il nostro ministro degli Esteri rivendica la vocazione europea dell’Italia, nonostante negli ultimi mesi il governo di Roma abbia sposato una linea più polemica nei confronti di Bruxelles, che Gentiloni definisce una « discussione fatta in modo aperto» e comunque in nome di una politica economica più espansiva in cui c’è necessità: «In ogni caso le dinamiche non mettono in dubbio il fatto che l’Italia sia un Paese profondamente europeista e fra i più impegnati a spingere in avanti il processo di integrazione».
Più di tanto, il vertice romano non poteva dare. È stato quasi un gesto situazionista, visto che il format probabilmente non sarà ripetuto, ma ha avuto tuttavia il merito di riproporre le ragioni profonde e il senso del progetto europeo: «L’Unione è molto di più della somma di 28 Stati membri», dice il comunicato. Gentiloni chiosa che «non tutti i Paesi condividono questo impegno comune». Con una vecchia formula dei tribunali partenopei, faremmo bene a rammentarlo anche a noi stessi. Tavola rotonda La riunione dei ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori dell’Unione Europea. In primo piano, il belga Didier Reynders. Procedendo in senso orario, il francese Laurent Fabius, il tedesco Frank-Walter Steinmeier, l’italiano Paolo Gentiloni, il lussemburghese Jean Asselborn, l’olandese Bert Koenders (LaPresse)