Corriere della Sera

«Lo hanno voluto punire perché parlava con noi»

- DALLA NOSTRA INVIATA

Se Giulio fosse vivo, forse sarebbe venuto qui, in questo pomeriggio freddo per il Cairo. Incontriam­o Hoda Kamel e Fatma Ramadan a due passi da piazza Soliman Pasha, al «Centro per i diritti economici e sociali» di Khaled Ali, un avvocato e politico di sinistra che si candidò alle presidenzi­ali nel 2012. Perché Giulio era interessat­o ai venditori ambulanti? La domanda è stata fatta in un interrogat­orio a un amico da un poliziotto sospettoso. «Perché sono i più poveri tra i poveri. Credo che ci fosse qualcosa di umano dietro questa scelta», ci dice Hoda, capelli bianchi come la kefia appoggiata sulle sue spalle. L’avvertimen­to Un poliziotto aveva detto a un nostro iscritto di non parlare con lui «Giulio mi chiamava Usteda», in arabo un appellativ­o di rispetto. Diceva di considerar­la «una sorta di zia», perché lei lo aveva aiutato molto. Lo aveva portato a Heliopolis, dove La collaboraz­ione Non sapevo che lui scrivesse per un giornale comunista gli aveva presentato diversi venditori ambulanti: un esercito di poveri, 6 milioni nel Paese, che vendono qualunque cosa e solo 30 mila sono iscritti al sindacato.

Fatma invece gli aveva dato un quadro storico dei sindacati indipenden­ti e dei loro fini. Al di là del fatto che i sindacati e i lavoratori siano stati una forza della rivoluzion­e del 2011, c’è qualcosa di più specifico che riguarda gli ambulanti. Sono un gruppo abituato alla violenza della polizia ma anche a trattare con quest’ultima, a volte pagano mazzette per vendere liberament­e i propri beni. «Un poliziotto in borghese aveva detto a uno di loro di non parlare con Giulio, di non fidarsi», dice Hoda. Cosa poteva avere insospetti­to qualcuno? «Credo che il fatto di parlare con noi sia stato il suo problema. Tutto quello che facciamo è alla luce del sole.

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