«Diteci la verità» L’appello virale di 4.600 accademici
IL CAIRO Una manifestazione di solidarietà globale. La lista dei Paesi di provenienza dei firmatari va dal Perù all’Australia, e include Nicaragua, Nigeria, Kazakistan, Tibet, Mongolia. A scorrere l’elenco delle nazionalità, si nota che le firme vengono soprattutto dall’Italia e dalla Gran Bretagna, ma ci sono quasi 80 persone che vivono in Medio Oriente e nel Nord Africa — inclusi Turchia, Tunisia, Marocco, Qatar, Israele. E 27 che risiedono in Egitto.
Oltre 4.600 firme in 90 Paesi. In tanti hanno aderito alla lettera aperta di protesta «per la morte di Giulio Regeni, per le sparizioni forzate e per la tortura in Egitto» scritta da due accademiche di Cambridge, Anne Alexander e Maha Abdelrahman. Quest’ultima è la docente che seguiva Giulio nella sua tesi, ed è specializzata in politiche di opposizione e movimenti di protesta in Medio Oriente. Con i media non ha voluto parlare dopo la scomparsa di Regeni, ma ha inviato la sua protesta per iscritto al presidente egiziano Al Sisi attraverso le ambasciate di Londra e Roma. «Chi sapeva della scomparsa di Giulio, prima del ritrovamento del corpo, erano disperatamente preoccupati per lui, visto che era sparito nel mezzo di una campagna di sicurezza sfociata in La lettera ad Al Sisi È stata scritta da due docenti di Cambridge: una seguiva il ragazzo nella sua tesi arresti di massa, in un contesto di drammatico aumento delle denuncie di torture nelle stazioni di polizia e casi di sparizioni, secondo la documentazione offerta da organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani».
La lettera critica anche l’ipocrisia del ministero della Difesa egiziano, parla di «pratica di routine» della tortura. Chiede all’Egitto collaborazione nelle indagini, non solo nel caso di Giulio ma «su tutti i casi di tortura e morte in detenzione denunciati in questi mesi... per portare in giudizio i responsabili». Tra i firmatari ci sono molti nomi di Cambridge, esperti di Medio Oriente, dallo studioso francese Olivier Roy a Yazid Sayigh del Carnegie Center di Beirut, e tra gli italiani Daniela Della Porta, preside alla Scuola Normale Superiore, Isabella Camera d’Afflitto della Sapienza, Stefano Allievi dell’Università di Padova, Andrea Teti di quella di Aberdeen.
La risposta del ministero degli Esteri del Cairo è arrivata in serata attraverso il portavoce Ahmed Abu Zeid. «Pur comprendendo la profonda tristezza per l’assassinio di Regeni, è prematuro e miope pregiudicare i risultati dell’indagine ufficiale», ha scritto in una nota inviata alla stampa accreditata solo in lingua inglese (e non in lingua araba come normalmente accade). «I tentativi di Il messaggimessaggio L’appello (che è anche una raccolta firme) pubblicato all’inizio da due docenti di Cambridge in cui si chiede trasparenza su chi ha ucciso Giulio Regeni accusare le autorità egiziane, in assenza di prove, sono controproducenti», prosegue il comunicato che sottolinea la «sorpresa che simili ipotesi infondate possano arrivare da accademici, che dovrebbero essere i primi ad aderire ai principi di imparzialità e rigore». Il ministero conclude negando «arresti arbitrari, torture e sparizioni in Egitto», definendoli «stravolgimenti intenzionali da parte di chi lotta per riaffermarsi in Egitto dopo essere stati respinti dal popolo». Un riferimento ai Fratelli Musulmani.
Non è l’unica lettera diffusa in Rete per Regeni. La petizione «Giustizia per Giulio», su Change.org, è stata lanciata da Giovanni Parmeggiani, suo compagno di studi nel 2010 a Damasco e altri amici, e fa appello a un intervento di condanna del Parlamento europeo. Un’altra è firmata da tre ricercatori — Erika Biagini, dell’Università di Dublino, Mauro Saccol e Carlotta Stegagno di quella di Genova — ed è diretta a Renzi: chiede la verità, «anche se questo implicherà ammettere di avere, direttamente o indirettamente, supportato un regime militare e dittatoriale le cui politiche repressive hanno eventualmente colpito anche l’Italia e gli italiani».