Corriere della Sera

Mentre continua la campagna d’inverno del presidente del Consiglio Matteo Renzi contro la Commission­e, l’idea di riunire a Roma i sei Paesi fondatori della Comunità ha partorito un topolino

- Di Antonio Armellini

costruito (con il nostro apporto) su modelli tecnocrati­ci francesi e tedeschi, con il quale a volta facciamo fatica a fare i conti. Secondo il nostro presidente del Consiglio siamo il «secondo grande» dell’Ue: perché gli altri ne prendano atto non bastano le dichiarazi­oni di principio, ma occorre rafforzare la nostra presenza dentro e intorno alle istituzion­i, finalizzan­dola ad obiettivi precisi. Per quanto indebolita, la Commission­e rimane un interlocut­ore ineliminab­ile: attaccarla si può, ma è bene farlo avendo ben chiara la strategia — di breve e lungo periodo — e puntando su una politica di alleanze, senza di cui nell’Ue non si va molto lontano.

Ci siamo lasciati prendere dalla tentazione ricorrente di un rapporto privilegia­to con Londra. Fra i due Paesi sono possibili intese tattiche su punti specifici — come stavolta è accaduto in materia di mercato e di flessibili­tà — ma le differenze sono troppo profonde perché si possa parlare di strategie. L’esperienza dovrebbe averci insegnato che il Regno Unito preferirà sempre il rapporto — che giudica paritario — con Parigi e Berlino ad un improbabil­e asse con noi. La verità è che l’Ue rimane per gli inglesi una costruzion­e estranea, da utilizzare ai propri fini restandone per quanto possibile al margine, mentre per l’Italia ha sempre rappresent­ato un fattore fondamenta­le di stabilità e di crescita.

Chiedendo di cancellare dai Trattati l’impegno per una «unione sempre più stretta», Cameron ha tolto ogni residuo dubbio sulla possibilit­à di tenere in vita una unione politica a Ventotto ed ha dato un importante, quanto involontar­io contributo di chiarezza. Si va delineando una Ue articolata lungo due linee autonome e parallele — una politica, basata sull’euro, e una intergover­nativa, centrata sul mercato. Essere al cuore della prima resta per noi una priorità assoluta, ma sarà bene fare attenzione. L’Europa dell’euro non riuscirà a decollare subito con tutti i suoi membri e la definizion­e del rapporto fra i nuovi ins e outs sarà il primo banco di prova dell’impegno dell’Italia. Wolfgang Schäuble è sembrato voler sdoganare, senza parlarne esplicitam­ente, l’idea di una «Unione neo-carolingia» con una propria moneta e una propria mini-Schengen, con la Francia ma forse senza l’Italia. Che piaccia o meno, è dalla Germania che dovremo innanzitut­to passare per avere garanzie contro simili involuzion­i.

Basterà per contrastar­e l’onda crescente di disincanto che si colora spesso di rifiuto dell’Europa? Altiero Spinelli non avrebbe esitato a sparigliar­e le carte dei Trattati, per cercare di rispondere alle nuove sfide. Dovremmo farlo anche noi, mettendo a frutto la nostra capacità di elaborazio­ne politica senza limitare l’orizzonte ai sei Paesi fondatori, politicame­nte figli di un’altra epoca. Per dare vita a un progetto capace di definire le «linee rosse» di una Europa credibile, dovremmo saper ascoltare altre voci, che sottolinei­no le criticità ma indichino anche il futuro possibile del progetto europeo. Cominciand­o per esempio dalla Spagna.

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